Breve guida all'illusione siciliana per capire il trase e nesci di Spatuzza

C’è chi ascolterà ciò che dirà Gaspare Spatuzza. E poi ci sarà chi - siciliano o allenato alle cose siciliane - capirà anche il resto. Già, perché, per dirla con Giovanni Falcone, «l’interpretazione dei segni, dei gesti, dei messaggi e dei silenzi, costituisce una delle attività principali dell’uomo d’onore. E di conseguenza del magistrato». E di segni, gesti, messaggi e silenzi da Spatuzza ne arriveranno. Si tratterà di saperli leggere.
C’è una frase di Sciascia sui nonsense pirandelliani. Ora che Spatuzza si accinge a parlare con i magistrati di Palermo in trasferta a Torino per una delle udienze centrali del processo a carico di Marcello dell’Utri, la ricorda Pietro Calabrese. «Un torinese si guarda allo specchio per aggiustarsi la cravatta - cita a memoria l’ex direttore di Panorama - un siciliano si guarda allo specchio per capire se è lui o un altro quello che gli appare dallo specchio». È, questo, un altro modo per dire che il messaggio, quando ci sono di mezzo i siciliani, è contenuto negli spazi lasciati in bianco tra una parola che finisce e l’altra che comincia. Se poi si tratta di Cosa Nostra, si arriva al parossismo.
Tra i cronisti che scrivono di mafia, si dice: trase e nesci. È il sistema dell’allusione, delle frasi indirette, del far capire senza dire, insomma, dell’affermare «potrei dire che Dell’Utri è mafioso» invece di dichiararlo direttamente. Poi, ci si chiede: ma lo ha detto o no? Ed è qui che entra in ballo la capacità di leggere il messaggio. «Tutto è messaggio - spiegava ancora Falcone nel libro-intervista con Marcelle Padovani, Cose di Cosa Nostra - tutto è carico di significato nel mondo di Cosa Nostra, non esistono particolari trascurabili. È un esercizio affascinante che esige tuttavia una attenzione sempre vigile. Tommaso Buscetta è un modello in questo campo e ho l’impressione che i nostri rapporti siano sempre stati in codice». Tanto è vero, che proprio su una questione di messaggi nasce quel rapporto, anche passando per un pacchetto di sigarette offerto in modo tale da non umiliare l’uomo che avrebbe fornito a Falcone la chiave per penetrare nei segreti di Cosa Nostra, in modo da conquistarne la fiducia.
Le parole, insomma, sembrano dritte ma portano con sé messaggi che seguono percorsi tortuosi. Spiega Pietrangelo Buttafuoco, scrittore e giornalista siciliano, che «quel tipo di linguaggio è così totale che non si limita alla solo phoné. Ad essere importante è tutto l’insieme». «Come tutte le cose che arrivano dalla Sicilia, a maggior ragione quando si tratta di aule giudiziarie, ci vuole tutta la cautela di un Wittgenstein per decrittare ciò che si dice», aggiunge. Di certo, venerdì «ne verrà fuori una sceneggiatura con gli ingredienti dell’assurdo e i paradossi dell’inverosimile».
E poi c’è il contesto. Parole e silenzi devono essere calati nel contesto per riemergere arricchiti di altri significati. Ci sono, nella storia giudiziaria, illustri precedenti di udienze servite a lanciare messaggi, a dire qualcosa per dire altro che, soltanto qualcuno poteva interpretare. Due di questi precedenti hanno a che fare, ancora una volta con la mafia. Siamo nel 1986. A Palermo si celebra il maxi processo a Cosa Nostra. Va in scena il confronto tra Tommaso Buscetta e Pippo Calò. «Calò - ricorda Massimo Bordin, direttore di Radio Radicale - era il capo famiglia di Buscetta e doveva dimostrare ai suoi capi che lui con il pentito non aveva nulla a che fare. Per questo, si incarica della missione suicida di attaccare Buscetta, ritrovandosi con un ergastolo in più». Così, però, si salva la vita. «È un classico di perversione logica da parte dei mafiosi», dice ancora Bordin. Anni dopo, e siamo nel 1993, Buscetta e Calò si ritrovano faccia a faccia. E anche allora la rappresentazione serve a lanciare un messaggio - in questo caso viene lanciata da Calò la strategia di delegittimazione dei pentiti - a chi a orecchie per ascoltarlo.
Ora è il turno di Spatuzza. Dal maxi processo è cambiato il mondo ma guai a dimenticare il contesto, soprattutto se è vero che quello che Spatuzza sosterrà - in un processo ormai avviato a conclusione - è un test in vista di ben altre prove. I magistrati che lo ascolteranno lo faranno a Torino. Ma vengono da Palermo. Si tratta di capire se il messaggio deve fermarsi a Torino oppure prendere la strada di Palermo, magari passando per Roma.
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