Bossi rilancia: referendum per la secessione

«Sì, secessione: come si fa a stare in un Paese che sta addirittura perdendo la democrazia?». Eccolo qui il contentino che Umberto Bossi rifila al suo popolo accorso a Venezia per il rito dell'ampolla. Lo dice dal palco a una folla non certo sterminata, a dispetto della cifra iperbolica sparata dagli organizzatori (50mila, e a qualcuno scappa un po' da ridere, a esser generosi non arrivano a cinquemila). Lo dice ipotizzando perfino un referendum, un po' per lisciare il pelo a chi la secessione la invoca a gran voce (qualcuno vuole anche "l'esercito padano"), e un po' perché non c'è altro da offrire a questa base sempre più in preda alle convulsioni. Mezz'ora di discorso, e il Senatùr non nomina neppure una volta Berlusconi, non parla del governo e delle sue prospettive, evita accuratamente di avventurarsi in ciò di cui tutti parlano, anche qui a Venezia: gli scandali che coinvolgono il premier rivelati dalla nuova valanga di intercettazioni, e le possibili conseguenze per la tenuta della maggioranza.
Rivendicare di aver salvato le pensioni («e chissenefrega di quel che dice l'Europa»), come pure Bossi fa, è un po' poco. E anche gridare al «fascismo» risorgente per via delle contestazioni promosse sabato, sempre a Venezia, dai centri sociali. Dunque non rimane che aggrapparsi al grido disperato dei militanti: secessione, appunto. «È evidente che così non si può andare avanti, con la crisi l'Italia va giù e la Padania vien su». Dunque bisogna trovare una via d'uscita, una via «democratica e forse referendaria perché un popolo lavoratore come il nostro non ne può più di mantenere l'Italia». Insomma, la secessione come ipotesi da sottoporre alle urne: idea un po' vaga, e accompagnata dalla promessa di una grande manifestazione da tenere in primavera, «ma non dico altro perché qui ci sono i giornalisti e prima voglio spiegarlo a voi».
Già, i giornalisti. Tutti bugiardi, e anche «grandissimi stronzi» perché «raccontano sistematicamente bugie, e visto che non possono attaccare me adesso attaccano la mia famiglia». Un altro capro espiatorio da offrire a una platea ribollente, e una mano al Capo la dà senz'altro Roberto Calderoli: «I giornalisti ci hanno rotto i coglioni». Il ministro alla Semplificazione bolla come «inciuci» i tentativi di imbarcare l'Udc nel centrodestra e indica un obiettivo: «Mantenere la coalizione di governo fino alla fine». Più scettico, una volta sceso dal palco, il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni: «Chi vivrà vedrà».
Poi i governatori, Luca Zaia, che annuncia il dimezzamento dei consiglieri regionali del Veneto e Roberto Cota. Si esibisce la pasionaria Rosi Mauro, che si arrampica sugli specchi («Le donne in pensione più tardi? Tutte balle») e si becca pure qualche fischio. Per tornare un po' sulla terra bisogna aspettare Bobo Maroni, che ammette: «Non è facile stare al governo; mentre noi ci danniamo l'anima per portare a casa dei risultati, la politica si occupa di fango, di personaggi indaffarati nei loro sporchi traffici, di case fantasma e quant'altro; un mondo che non ci appartiene, noi rivendichiamo l'etica nella politica». Non è facile, e Maroni dice che la Lega al governo ci starà «stringendo i denti e fino a quando lo dirà Bossi».
Dalle opposizioni partono bordate pesanti. «Bossi - accusa il leder del Pd Pier Luigi Bersani - mette avanti il sogno per non dire ben chiaro che va avanti col miliardario: vediamo se vuole fare la secessione con Berlusconi e anche con Milanese». «Chi invoca la secessione non può fare il ministro» rincara il dipietrista Massimo Donadi, che invoca l'intervento del Capo dello Stato. E Il Futurista, quotidiano on line dei finiani, se la prende con il segretario del Pdl, che ancora ieri ha rilanciato l'alleanza tra Berlusconi e Bossi: «Alfano difende l'indifendibile, Bossi e i suoi ministri invocano la secessione e gridano all'esercito padano quasi volessero la guerra civile».
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