Bossi ormai è il passato, ma il sentiero di Maroni è pieno di ostacoli

L'uscita di scena del figlio di Bossi, il celebre "Trota", e quella imminente della vice-presidente del Senato, Rosy Mauro, ribadisce in maniera impietosa quello che è chiaro ormai da giorni: la Lega ha concluso il suo ciclo ed è ormai un rottame politico alla deriva. Può darsi, anzi è augurabile che un nuovo gruppo dirigente riesca a prendere in pochi mesi il controllo di quel che resta del movimento.
Ma occorrerà verificare quanto sarà realmente «nuova» questa leadership: se fosse solo cosmesi, sarebbe difficile arrestare il disincanto dei militanti e la fuga nell'astensione (che in questo caso fa davvero rima con disillusione).
In ogni caso l'incredibile scandalo che travolge la famiglia del leader storico e infrange il famoso «cerchio magico» equivale alla decapitazione del sovrano in uno Stato retto da una monarchia assoluta. Ed è escluso che l'assetto di potere interno possa reggere, essendo venuto meno il punto di equilibrio, anzi la fonte di ogni legittimità. La Lega di domani sceglierà probabilmente Maroni come nuovo capo: se non altro perché l'ex ministro dell'Interno è stato il primo a reclamare «pulizia, pulizia, pulizia». Il primo, sì, ma senza affrettarsi troppo, visto che ha retto il Viminale per anni e i suoi nemici interni gli domandano come mai non si è mai accorto del malaffare. Mentre il Veneto, con Zaia, già avanza i suoi diritti.
Tuttavia, se anche Maroni riuscisse a tenere unito il movimento e a soddisfare i militanti che reclamano moralità, ebbene anche in quel caso la Lega dovrà attendere anni per ritrovare un ruolo nazionale. Il fallimento si paga e la Lega di Bossi e Calderoli, in parte anche di Maroni, ha fallito a Roma. Non ha saputo per anni dare corpo ai suoi stessi programmi, a cominciare dal federalismo (come ha ben documentato Luca Ricolfi sulla «Stampa» di ieri).
Il futuro leader farà dunque cosa saggia se proverà a rimettere in sesto il Carroccio partendo dalle amministrazioni locali. I Tosi, i Fontana e tanti altri svolgono con competenza il loro lavoro. È lì che la Lega dovrà tornare, senza farsi troppo ossessionare dal tema delle alleanze nazionali e della relativa visibilità. Di questi due punti si parlerà poi, in vista del voto del 2013 e alla luce di una legge elettorale che al momento è lungi dall'esser definita.
Sappiamo, in ultima analisi, che Maroni è persona di buon senso. Sotto la sua guida il Carroccio potrà perdere qualche elemento radicale, e non sarà un male: però con il tempo potrebbe guadagnare in credibilità e tornare a dare voce, almeno in parte, al Nord che lavora e chiede ascolto. Ciò accadrà se la nuova Lega, chiamiamola così, riuscirà a essere un soggetto che spinge per le riforme economiche (nel campo della spesa e dei servizi), anziché un blocco conservatore corrotto dalla peggiore politica.
In secondo luogo, Maroni e il nuovo gruppo dirigente dovranno rendersi conto che la questione del finanziamento ai partiti è un tema ineludibile del dibattito pubblico. Non solo per la necessità di regolare subito, anche con decreto legge, i flussi di denaro oggi privi di controlli. Ma anche per le ragioni espresse da Emma Bonino: la vicenda Lega deve essere l'occasione «per aprire i cassetti». Il che significa rivedere le norme «con cui si nominano i consigli d'amministrazione nelle municipalizzate e nelle grandi aziende di Stato». Qui è il lato oscuro del sistema.
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