Bossi: "Per ora non si può votare ma nel 2013 Silvio non sarà premier"

Dalla Rassegna stampa

Umberto Bossi prende tempo ma non rinuncia a dare il preavviso al governo. «Nulla di scontato, può darsi che la Lega dia uno stop alla leadership di Berlusconi, non è detto che staremo con lui alle prossime elezioni», avverte il Senatùr dal palco di Pontida, con un eloquente gesto della mano rivolto a una folla osannante. Clima delle grandi occasioni, non sono certo 80mila come dice Calderoli, ma il pratone è strapieno. Sul "sacro" suolo brulicante di camicie verdi sempre più insofferenti nei confronti dell'alleato, prende forma l'avvertimento del Capo: o si cambia oppure ognun per sé. Certo, non nell'immediato: «Se facciamo cadere Berlusconi si va subito a votare, e questo è un momento favorevole perla sinistra». Partono dei fischi (non solo: per sette volte Bossi viene interrotto dal grido «Secessione», e lui risponde «se la volete tenetevi pronti»), sembrerebbero per la sinistra, eppure l'Umberto li interpreta così: «Si può fischiare, è quasi fatale che la gente a un certo punto voglia cambiare; il governo di errori ne ha fatti». Ma la Lega, precisa, è più unita che mai, checché ne scrivano i «giornalisti stronzi».

Dunque per non cadere a fondo in compagnia del Cavaliere ci vuole un cambio. Ma subito: «Altrimenti, puntini puntini...». Ecco allora l'ultimatum scritto su un volantino. In larga parte le richieste sono quelle di cui si parla da giorni, ma per ciascuna è fissato un termine. Sei mesi in tutto, se non si fa come dice la Lega c'è solo la strada del divorzio e del voto anticipato. Magari in primavera. Pronti, via. Entro due settimane il consiglio dei ministri deve approvare la riforma costituzionale con il dimezzamento dei parlamentari e il Senato federale; e pure lo stop alle missioni militari all'estero. Poi, tra un mese, riforma del patto di stabilità che ora impedisce ai Comuni virtuosi di spendere i soldi accantonati, taglio dei costi della politica («Basta auto blu», urla Bossi), finanziamento del trasporto pubblico locale, norme per abolire le "ganasce fiscali" e le misure di Equitalia considerate «vessatorie», riduzione delle bollette energetiche. E ancora. Due mesi per stabilire i costi standard previsti dal federalismo fiscale e per approvare in Parlamento la riforma fiscale. Poi le quote latte da ridefinire entro l'autunno. E, ovviamente, i ministeri al Nord: «Berlusconi aveva già firmato il documento per trasferirli, poi si è cagato sotto».

Programma vasto, anzi «cronoprogramma», come adesso dicono i leghisti. Peccato che, dopo l'allarme lanciato da Moody's, l'ormai ex "amico" Giulio si sia messo in testa di anticipare la maximanovra da 40 miliardi.

Non c'è trippa per gatti, questo è un bel problema per Bossi, che infatti dal palco manda a Tremonti un messaggio bellicoso: «Caro Giulio se vuoi avere ancora i voti della Lega per i tuoi provvedimenti ricorda che non puoi toccare i Comuni, gli artigiani, le piccole e medie imprese, altrimenti metti in ginocchio il Nord». Il ministro dell'Economia è avvertito, ma il destinatario principale della missiva padana sta a Palazzo Chigi. Roberto Maroni, mica per niente qui acclamato «presidente del Consiglio» lo dice così: «Il messaggio è chiaro, Bossi ha già detto tutto: a Roma chi ha orecchie per intendere ha già inteso».

L'inquilino del Viminale infiamma la folla quando se la prende con i missili che «non sono mai intelligenti», dunque «per fermare i profughi c'è solo un modo, fermare la guerra», anche se «abbiamo contro la Nato, l'Europa e la magistratura che è a favore dei clandestini». E ancora: «Bisogna rivedere il patto di stabilità soprattutto per le spese sulla sicurezza, materia nella quale i sindaci hanno il diritto di investire». Poi l'altro Roberto, Calderoli, che invoca l'urgenza delle «riforme come risposta a chi chiede la secessione». Ma bisogna mettere il turbo, anche a costo di dare un dispiacere a deputati e senatori: «Le nostre richieste sono chiare, basta con un Parlamento che lavora due giorni a settimana, adesso dovrà farlo dal lunedì al venerdì».

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