Bossi: «Microspie al ministero e a casa». Parte l’inchiesta

Dalla Rassegna stampa

Il Senatùr liquida l’argomento come se fosse un incidente sul lavoro capitato nella «palude romana». Alcune «cimici», le microspie ormai soppiantate dalle intrusioni via internet ma pur sempre suggestive, sono state trovate un paio di mesi fa nell’ufficio di Umberto Bossi al ministero delle Riforme e nella sua abitazione romana, nella zona di Porta Pia. È stato lui stesso a raccontarlo chiacchierando con i giornalisti, che di questi tempi non lo mollano un attimo, nella notte a Ponte di Legno. E, nonostante le ore piccole, la notizia ha fatto il giro d’Italia.
 
 Parole, quelle del fondatore della Lega Nord, che tra perplessità e critiche (su tutte, quelle dell’ex pm Di Pietro e dei Radicali che chiamano in causa anche Maroni, il responsabile del Viminale, sollecitato a riferire in aula dall’Udc) hanno provocato comunque l’apertura di un fascicolo sull’episodio da parte della Procura di Roma. Bossi ha raccontato che la sua segretaria al ministero si è insospettita perché «troppa gente sapeva quello che avevo detto solo a lei». Così sono stati fatti dei controlli e, secondo l’alleato strategico del premier, «hanno trovato una cimice nel mio ufficio al ministero e diverse nella mia casa di Roma». Non le hanno trovate a Varese, però. «Lì - ha commentato sorridendo il vecchio lumbàrd - ho fucile da caccia e rivoltella». Il tutto è successo «un paio di mesi fa», ha precisato il ministro aggiungendo di non avere idea dei responsabili. «Come si fa a sapere chi sono? - ha osservato -. Sono scemi si, ma non del tutto. Abbiamo chiamato un privato per la bonifica. Non volevo far casino, tanto un’inchiesta non trova niente. Io non volevo entrare nel casino. Sono uno che tende a minimizzare». Il segretario della Lega ha comunque avvisato l’autorità politica di riferimento, che in questo caso è anche una «camicia verde» leghista, il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Che, per un Bossi deciso a mantenere il basso profilo, «ha mandato un po’ dei suoi uomini». E dalle vacanze sulla neve il leader leghista non si è risparmiato in battute coi giornalisti: «Berlusconi - ha commentato -. Non è cattivo come lo dipingono. È un po’ bauscione, ma è una brava persona».
 
 La Procura di Roma, con un’iniziativa diretta del Capo dell’Ufficio, Giovanni Ferrara, ha aperto un fascicolo sulla vicenda portata alla luce dalle dichiarazioni notturne di Bossi. I reati ipotizzati sono quelli previsti dagli articoli 617 e 617 bis del Codice penale: il primo punisce comportamenti come cognizione, interruzione o impedimento illecito di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche», mentre il secondo individua gli strumenti del reato e parla di «installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche».
 
Immediate le reazioni. Un addetto ai lavori come il deputato del Pd Ettore Rosato, componente del Comitato parlamentare per i servizi segreti (Copasir), si dice «molto stupito» per la tempistica adottata da Bossi, pur concludendo che «bene ha fatto la magistratura ad aprire un’inchiesta». È  d’accordo Antonio Di Pietro, che però sottolinea: «Mi dispiace che un ministro in carica non senta il bisogno di denunciare subito un tentativo di intrusione così lesiva ai suoi danni, dovrebbe dare il buon esempio invece di ingenerare sfiducia verso la giustizia». Per i Radicali, a nome dei quali interviene l’avvocato Giuseppe Rossodivita, «la Procura deve aprire un fascicolo anche a carico dei ministri Bossi e Maroni». Il reato? Omessa o ritardata denuncia da parte di pubblico ufficiale.

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