Bossi l'ha sconfitto. La sinistra lo finirà

Dalla Rassegna stampa

 

Volete sapere perché la Lega vince? Insieme ai tanti motivi che si conoscono, cene sono due ai quali non si presta mai attenzione. Il primo è la volgarità cafona degli avversari di Umberto Bossi. Invece di far tesoro degli insegnamenti che emergono dal successo leghista, ricorrono alla tecnica logora dell’insulto. Senza riflettere che, in politica, offendere il nemico non serve a niente. Perché tutti hanno il triplo pelo sullo stomaco e ci ridono sopra.
E dalla nascita che la Lega viene sbeffeggiata. Ho fatto anch’io la mia parte. I leghisti sono ignoranti e rozzi. Parlano soltanto il dialetto padano. Non sanno vestire né sta re a tavola. Si baloccano con le fonti del Po. Odiano i meridionali. Frequentano le osterie invece dei salotti buoni. Snobbano gli intellettuali e ne vengono snobbati. Praticano il razzismo. E vogliono spaccare l’Italia in due. Anche dopo le ultime elezioni regionali e comunali, gli insulti non hanno smesso di piovere. Me ne sono rimasti in mente tre. Il primo veniva da un barone universitario di Storia contemporanea, di cui ho dimenticato il nome. Intervistato dalla "Stampa" sulla vittoria di Roberto Cota in Piemonte, è stato lapidario: «Sono arrivati i lanzichenecchi». Il secondo è uscito dalle labbra del sindaco di sinistra sconfitto a Mantova, la povera signora Fiorenza Brioni. Il suo ultimo sospiro prima di lasciare il municipio suonava così: «Temo una deriva leghista anche a Mantova, speriamo che non introducano il coprifuoco». Traduzione: i leghisti sono uguali ai fascisti e ai nazisti della nostra guerra civile, ci obbligheranno a resta re prigionieri in casa.
Il terzo insulto ha il copyright di un alleato della Lega. Si tratta di Italo Bocchino, vicecapo del gruppo Pdl alla Camera e presunta testa lucida del sub-partito di Gianfranco Fini. Di fronte alla domanda se ritiene possibile un premier leghista, ha sparato la sciocchezza della sua vita: «Assolutamente no. Meglio un premier gay che della Lega». Proprio così ha detto, senza rendersi conto di offendere sia i leghisti che i gay. Tre sputacchi in pochi giorni. Ma siamo soltanto all’inizio. Aspettiamo che la Lega prenda possesso delle poltrone che ha vinto. E faccia pesare all’interno del centro-destra anche i voti conquistati alla fine di marzo. Allora sì che la rabbia degli sconfitti produrrà una serie di fesserie madornali. Con un solo risultato: rendere i leghisti, per primo Bossi, sempre più forti e graditi agli elettori. Compresi gli astensionisti come il sottoscritto. Non ho mai votato per la Lega. L’ho pure criticata in tanti articoli e qualche libro. Ma se l’andazzo sarà quello che immagino, forse cambierò idea.
E veniamo all’altro motivo che spiega perché la Lega continuerà a vincere. L’esito delle regionali ha certificato uno stato di fatto. Il Pdl di Silvio Berlusconi ha perso voti, però non è finito gambe all’aria. Anzi, insieme a Bossi ha conquistato quattro regioni importanti che prima erano governate dalla sinistra. Il Cavaliere è rimasto in sella e adesso può contare su una Lega più forte di prima. Non credo che il premier sia felice di questa condizione. Ma non è uno sciocco e farà buon viso anche al nuovo gioco.
Nel Pdl il vero sconfitto è un altro: Gianfranco Fini. Dal voto lui è uscito con le ossa rotte. Conta assai meno di prima e, soprattutto, vede restringersi i margini della sua manovra preferita. Sappiamo bene quale sia: fare la parte del cugino che rompe le scatole alla famiglia, ma non rifiuta mai i vantaggi che gli derivano dalla parentela.
L’ultimo sgambetto a papà Silvio, alla vigilia delle regionali, è stato senza riguardi: così come è oggi, il Pdl non mi piace, meglio non votarlo. Che cosa potrà accadere d’ora in poi? Poiché non è pensabile che
Fini si zittisca, delle due l’una: o il Cavaliere lo metterà fuori dal P(11 o lui se ne andrà da solo. La prima
opzione mi sembra improbabile. Berlusconi è furbo e non farà mai nulla contro il presidente della Camera. Chi sta seduto al vertice di Montecitorio ha un potere senza eguali in una fase di riforme istituzionali.
Dunque il Cavaliere lascerà Fini a cuocere nel suo brodo dissidente. Senza muovere un dito per zittirlo. Convinto che anche la guerriglia di Fini, come tutte le guerriglie vere, senza un’insurrezione e una vittoria sul campo, diventerà sempre più logora, più fiacca, più noiosa pure agli occhi dei media che la pompano da tempo.
La seconda opzione è proprio quella insurrezionale. Che cosa significa? Che prima o poi Fini, stanco di cuocere nel proprio limbo, deciderà di uscire dal Pdl. Ormai ha fatto tutte le svolte possibili. E ha celebrato di tutto e di più. Persino due leader storici dell’antifascismo: ieri uno vivo, Pietro Ingrao, oggi uno morto, Pietro Nenni. Chi gli resta da celebrare? Forse Ferruccio Parri, forse Palmiro Togliatti, forse persino il compagno Stalin, per restare nel campo degli avversari di Mussolini.
A quel punto Fini raccatterà il proprio arsenale polemico, accatastato nella breve stagione del suo revisionismo opportunista, fonderà l’ennesimo partitino italiano e passerà sul fronte opposto. Spiegando agli elettori quello che gli ha insegnato a dire il suo spindoctor, l’eccellente Alessandro Campi: «Il finismo è altro dal berlusconismo e dal leghismo, esprime l’idea di una destra delle regole, del senso delle istituzioni, dell’unità nazionale, dell’etica delle responsabilità, ecc. ecc.». Dove approderà Fini? Ma che domanda: a sinistra. Qui verrà accolto con la fanfara dal democratico Bersani, dal giustizialista Di Pietro, dal comunista Vendola, da qualche superstite radicale e forse dal più bello del bigoncio, Pierferdi Casini. Insieme tenteranno di buttar giù il Berlusca e Umberto il Barbaro. Prima però si scanneranno su chi dovrà essere il Mago di Oz, il leader capace di far uscire dal turbante la vittoria. Sarà Fini o Casini o l’invocato papa straniero, moderato, centrista, federalista?
Il loro giorno della verità verrà con una nuova campagna elettorale, questa volta per conquistareil Parlamento. Ma per quel momento, il Bemacca della politica prevede soltanto tempesta. Se Fini & C perderanno, andranno a casa per sempre. Se vinceranno, riusciranno a governare per qualche mese, non di più. E torneranno a casato stesso. Oggi mi sembra che la palla resterà tra i piedi di Silvio e di Umberto. Il Cavaliere deve stare attento a non pretendere troppo dalla fortuna che sin qui l’ha condotto per mano. Bossi ha l’obbligo di non montarsi la testa. L’unico nemico che la Lega deve temere è
la Lega. Se è vero che sta diventando un partito nazionale, ha bisogno di crescere. E non soltanto nei numeri. Ma nella sua classe dirigente, nella sua saggezza, nel suo equilibrio e, ancora di più, nella sua moderazione.
Insomma, la Lega si guardi da se stessa. Per conquistare voti, adesso non ha più bisogno di urlare, di mostrare i denti, di sfoggiare arroganza. L’Italia è stanca di una politica rabbiosa, capace soltanto di seminare odio. E infine Bossi & C lascino perdere la conquista delle banche. Era il peggior vizio della casta partitica della Prima Repubblica. E anche della Seconda. Ha portato sfortuna a chi voleva possederle. Stia attenta la Lega a non cadere nello stesso errore.

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