Bossi-Alemanno show: si celebra l'Italia «al sugo»

«Quando l'acqua comincerà a mormorare, io prenderò di quell'ingrediente, in polvere bellissima come l'oro, chiamata farina gialla; e a poco a poco andrò fondendola nella caldaia, dove tu con una sapientissima verga andrai facendo dei circoli e delle linee. Quando la materia sarà condensata, la leveremo dal fuoco, e tutti e due di concerto, con un cucchiaio per uno, la faremo passare dalla caldaia a un piatto. Vi cacceremo poi sopra un'abbondante porzione di fresco, giallo e delicato butirro, poi altrettanto grasso, giallo e ben grattato formaggio: e poi?
E poi Arlecchino e Rosaura, uno da una parte l'altro dall'altra, prenderemo due o tre bocconi in una volta di quella ben condizionata polenta, e ne faremo una mangiata da y imperadore...» . Carlo Goldoni insegna che la polenta è piatto insieme semplice e nobile, che fa sentire il villano quasi un principe, oltre a evocare i piaceri d'amore («Oh, tasi, cara ti, che ti me fa andar in deliquio» risponde Arlecchino a Rosaura).
Bossi e Alemanno ieri hanno invece degradato la polenta - e la coda alla vaccinara - dal popolare al popolaresco. «Peggio il tacon del buso» avrebbe detto lo Zanni, la maschera della commedia dell'arte, eternamente afflitto da una fame atavica che solo pentoloni gorgoglianti di polenta potevano saziare. Peggio della battutaccia di Bossi sui «porci» poteva essere solo questa mangiata in piazza, davanti al Parlamento della Repubblica, con le due claque a invocare i capi; il «Popolo di Roma» protolega romanesca accanto ai «Giovani padani», «la società dei magnaccioni» urlata sguaiatamente nei megafoni, il sosia di Maroni, e poi ristoratori e deputati in cerca dì visibilità: il solito La Russa, la bionda Lorenzin, Pannella coi capelli lunghi, due senatori dipietristi con cartelli apocalittici tipo «mentre voi banchettate i romani muoiono di fame», la Polverini che imbocca Bossi e poi attacca i rigatoni per i fotografi: «Preside', magni!», «A Polveri', magna n'artro poco!», e infine una turpe parodia delle ultime parole di Fabrizio Quattrocchi: «A Renà, facce vede' come magna 'na romana!».
Bossi si è sporcato di sugo, Rosy Mauro estrae un kleenex e lo pulisce, mentre i Giovani Padani intonano cori in difesa del Gran premio di Monza e del lambrusco da preferirsi al frascati. Ci sono pure gli antagonisti di sinistra, venuti a contestare entrambe le claque. Gran daffare di poliziotti sbigottiti. Umberto Pizzi, il fotografo di Dagospia e di «Cafonal», appare sinceramente indignato: «Stavolta abbiamo toccato il fondo».
Quanto remote le pagine in cui Beppe Fenoglio racconta le famiglie di una Langa allora poverissima, riunite attorno a un'acciuga appesa al soffitto, contro cui sbattere il cucchiaio di polenta per darle un po' di sapore. Quanto distante la polenta dignitosa dei contadini bergamaschi di Ermanno Olmi, e quella di Marco e Mattio di Sebastiano Vassalli. Le due Italie affratellate ieri in piazza non avevano bisogno della riconciliazione gastronomica per scoprire che si assomigliano parecchio, e da tempo.
La Lega è il più mediterraneo dei partiti, governato dalla legge del clan e della fedeltà al capo. Del resto è di origine mediterranea la stessa polenta, dal latino puls, a sua volta derivato dal greco poltos, che Epicuro invitava a preferire all'ambrosia degli dei. I legionari romani la preparavano con il farro, in latino far, da cui farina. Solo dal '600 si cominciò a ,usare il mais, portato da Colombo in Spagna e da qui in Sardegna - purenta -, Corsica pulenta -, Croazia - pura -, Serbia - palenta -, Sicilia - dove con la polenta d'orzo le donne palermitane sfamarono gli insorti dei Vespri - e appunto a Roma, dove la polenta con le spuntature di maiale o in bianco con la salsiccia si trova in qualsiasi trattoria. Proprio come al Nord generazioni di macellai, dopo aver venduto filetti e bistecche ai clienti, hanno sfamato i familiari con la coda di vitello.
Ai «vaccinari» di Testaccio, detti anche «scortichini», la coda veniva regalata, a integrazione della paga per l'ingrato lavoro. La ricetta della coda alla vaccinara è rivendicata da Checchino, il ristorante che sta appunto di fronte all'ex mattatoio:prima della guerra la sora Ferminia Mariani, figlia dei fondatori Lorenzo e Clorinda, cominciò a cucinare la coda con sedano, pomodoro, pinoli, uva passa e una punta di cioccolato amaro. Il cuneese Luigi Einaudi, che veniva d'abitudine con il barone Picella, ne era ghiotto. Cesare Simmi mise in rima la ricetta - «se coce e s'insapora a foco lento/ la coda ariva e mo' ve la presento» -, sostenendo che andasse aggiunto «un po' de grasso dè presciutto». Il Devoto-Oli propone invece il guanciale, aborrito dal puristi. Corrado Cagli, il pittore, ospite di Carlo Levi e della figlia di Saba, lamentava che la coda alla vaccinara venisse servita con la panna. «A tutt'e due ci piace andare a magna', che c. ne so, la coda alla vaccinava!»sbottò in un celebre nastro l'assessore laziale Mario Di Carlo, cui l'irreprensibile Marrazzo aveva affidato la delega ai rifiuti; il commensale era Manlio Cerroni, proprie- tarlo della discarica di Malagrotta su cui la magistratura ha aperto tre inchieste; il ristorante si chiamava Rubbagalline. Ieri i Giovani Padani hanno degustato la versione con le carote preparata per Bossi dalla trattoria «Mattarelli». Li guida il loro capo, Paolo Grimoldi. All'esordio in Parlamento nel 2006, intervistato da Alessandro Trocino per il Corriere, dichiarò: «Per restare puro, evito la coda alla vaccinara».
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