Bosoni e no

Dalla Rassegna stampa

Allora è vero, Dio c'è!". "Macché, questa è la prova provata che Dio non c'è". Vasta eco - anche su questo giornale, che ha fama di cinico e smitizzatore - dell'evento scientifico à la page, la verifica sperimentale dell'esistenza del "bosone", la particella subatomica intuita cinquanta anni fa dal fisico Peter Higgs. Dopo la bufala dei neutrini più veloci della luce, l'annuncio di queste ore sembra piantato su solide basi. L'eco però diventa subito volàno di una delle più scontate e cervellotiche zuffe mediatiche: quella tra fideisti e scientisti circa la possibilità di verificare una volta per sempre l'esistenza di Dio. Oggi ci viene garantito che la prova la otterremo facilmente, basterà dare una sbirciatina all'istante-limite della creazione dell'universo: se c'è stata creazione, c'è un creatore e alla fine, facendo capoccella da dietro i nostri sofisticatissimi strumenti, lo scopriremo, cogliendolo magari nella sua intimità. Un Dio così somiglia piuttosto a Giove sull'Olimpo, in questa vicenda c'è un sentore di antropomorfismo.

Personalmente trovo molto più serio e anche affascinante ripercorrere, per imbattersi in Dio, la trappola logica di sant'Anselmo. Se il bosone di Higgs ci ha avvicinati all'istante fatidico, di sicuro lo scienziato inglese non ha mai pensato che la sua intuizione, pur quando verificata sperimentalmente, potesse competere con le acrobazie del grande monaco medievale.

Ma, a prescindere dalle derive banalizzatrici, la vicenda è rosa dal tarlo dell'impossibile logico. L'istante della creazione è quello in cui il nulla sparisce per dar luogo al tutto: ma come può sparire il nulla? Alcuni ipotizzano (abbiamo sentito ripeterlo proprio in riferimento al celebre bosone) che anche il nulla è, se non pieno, almeno non del tutto vuoto, contiene un qualcosa che non possiamo immaginare ma c'è. Siamo dentro a un guazzabuglio difficile da sbrogliare, almeno finché dai groviglio non esca un'altra ipotesi, anzi un'altra logica che ridefinisca il termine di creazione e tutti i termini che vi fanno riferimento, a partire da quelli di "nulla" e di "vuoto".

Particella sì, ma di "quale" Dio?
Oggi ci è facile accusare la chiesa per la condanna di Galileo, ma dobbiamo cercare di immaginare quale possa essere stato lo sgomento, non solo di accademici e cardinali, a un annuncio che cancellava millenarie credenze e rischiava di sconvolgere ogni certezza antropologica, come aveva profetizzato Giordano Bruno. È possibile che quello straordinario ribaltone possa ripetersi, magari proprio con la scoperta del bosone (non a caso chiamato anche, spericolatamente, "di Dio")? Gli scienziati sono unanimi: da oggi in poi nulla, nell'astrofisica, sarà come prima.

Ma il nostro mondo è ormai collaudato alle novità della scienza, anzi è addirittura fondato sui meccanismi di un sapere che si cannibalizza continuamente: una cultura scientifica che non chieda il continuo rovesciamento delle sue certezze contraddirebbe uno dei suoi canoni fondamentali, il popperiano "verificare-falsificare".

Insomma la scienza, per antonomasia sede del relativo, è pronta a recepire a qualunque prezzo il nuovo canone della particella di Higgs. Sa però che la seconda definizione, "particella di Dio" è uno scherzo, una spiritosa invenzione.

Anche perché, ma a questo la scienza non può rispondere, quando si pretende di mettere in campo Dio bisogna far chiarezza. Il Dio cui si allude qui è il Dio biblico-cristiano, quello del "fiat lux" e della creazione "ex nihilo"? Non potrebbe pretendere quel posto prestigioso anche Allah? O uno dei mille e mille fascinosi Dei del pantheon induista? O l'evanescente Dio di Budda?

O magari non potremmo trovarci dinanzi alla rivincita di un qualche spiritello animista, fino a ieri maltrattato dal progresso, dalla colonizzazione, dallo sradicamento etnico, e che oggi si prende una insospettata clamorosa rivincita? Dove è descritto che il Dio della tradizione - o meglio, della cultura - cristiana sia il Dio in sé, quello in oro a 18 carati?

Perché questa ostinazione a dare per universale verità quella che è una convenzione culturale, circoscritta nel tempo e nello spazio anche se legata a una fase importante della storia culturale dell'umanità? Posso sbagliare, ma a me pare senza fondamenti la pretesa ribadita ieri da un notissimo teologo-giornalista, il quale asserisce che "scienza e fede sono conciliabili nella mente di chi le pratica con saggezza"; penso che questa espressione sia un ennesimo inconsapevole rigurgito di egocentrismo, di malriposto occidentalismo dà per scontato ciò che deve essere provato, e innanzitutto definito, con assoluto rigore, anche terminologico. E lasciamo perdere il richiamo al "mistero" - anche questo evocato a proposito del bosone - che assedia la scienza e fa presumere una armonia superiore o, come pare dica Einstein, "una intelligenza che crea e governa il tutto". La scienza procede "iuxta propria principia", un intreccio di problemi in fondo al quale ci sono non misteri ma altri problemi: lo splendido e armonico mondo dei frattali è felicemente espresso da una semplice equazione, marchingegno di cui Dio non avrebbe bisogno.

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