Bordin line

“Colonnello, e questo chi è? L'altra volta venne il procuratore Caselli, qua già non mi si rispetta più. Io con questo l'interrogatorio non lo faccio". Non ci fu verso. Vito Ciancimino, tutto imbacuccato per il freddo - era l'inverno '93 - nella sua cella di Rebibbia, non ne volle sapere. Il dottor Ingroia se ne dovette tornare a Palermo senza mettere nulla a verbale, il colonnello Mori e il capitano De Donno (che ha raccontato in tribunale questa scena) rimasero per un "colloquio investigativo" nel quale spiegarono a Ciancimino che non si poteva comportare in quel modo.
Tutto era iniziato poco prima del Natale 1992, il 19 dicembre, quando, uscendo dalla bella casa di Ciancimino, l'occhio clinico del capitano De Donno aveva notato due "cugini" della polizia, in borghese, dentro una Y10. Poco dopo salirono per arrestare l'ex sindaco per una esecuzione penale, su mandato della procura di Palermo.
Il contatto riservato del Ros saltò così. Per continuare a coltivarsi la "fonte Ciancimino" anche dopo l'arresto di Riina, non rimase ai carabinieri che chiedere il permesso alla procura di Palermo. Seguirono alcuni colloqui in cui convinsero Ciancimino a rendere deposizioni a Caselli. A parte l'incidente descritto all'inizio, furono messe a verbale una decina di deposizioni, poi la cosa si arenò perché Ciancimino rifiutava di definirsi un mafioso a tutti gli effetti, come Caselli esigeva per proseguire. Almeno, questa è la versione di De Donno, in ogni caso i verbali ci sono.
Se ne deduce che fu il Ros, un po' in ritardo per la verità, a dire ai pm palermitani dell'avvenuto contatto con Ciancimino e non i pm a scoprire il "torbido intreccio". E soprattutto ne consegue che il nome dell'ex sindaco nell'elenco dei 41-bis revocati dal ministro Conso non può essere il risultato di una illecita trattativa - della quale sarebbe stato parte, non decisiva, anche il dottor Ingroia - ma un atto praticamente dovuto.
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