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Sulle conclusioni del presidente della commissione Antimafia in merito all'indagine sulla "trattativa" tutti i commentatori si sono mostrati concordi: esse non hanno nulla di conclusivo e nulla chiariscono. Non che si debba addebitare al presidente Pisanu qualcosa di inusitato, in fondo si è mosso nel solco di una tradizione che ha caratterizzato un po' tutte le commissioni di inchiesta parlamentari. A cominciare proprio dalla prima commissione Antimafia, che concluse i suoi lavori nei primi anni 70. Il presidente dell'epoca annunciò alla stampa la presenza di una "santabarbara" nelle carte dell'inchiesta ma al momento delle conclusioni evidentemente le polveri si erano bagnate e le esplosioni purtroppo si cominciarono a registrare altrove e non in senso metaforico. Eppure rispetto ai procedimenti giudiziari l'attività parlamentare ha un vantaggio. Non quello di non avere bisogno di prove, evocato ieri dall'editoriale di Travaglio. Piuttosto la possibilità di non sentirsi inchiodata a qualcosa di già avvenuto come necessariamente deve fare un giudice. Il Parlamento può tracciare strategie, indicare il modo per superare ambiguità, elaborare linee guida per il futuro. Questo andrebbe rimproverato al lavoro degli onorevoli indagatori sulla montagna di carte che ha partorito un ambiguo topolino, scontentando tutti.
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