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"Lo avevo sconsigliato, allora. Mi pareva che un uomo come lui fosse più necessario nella magistratura, e in Sicilia, che non in Parlamento. C'era, sì, in Parlamento la commissione d'inchiesta sulla mafia cui poteva dare e ha dato un contributo importante, ma più importante mi pareva il contributo che avrebbe potuto continuare a dare nell'amministrazione della giustizia". Così Leonardo Sciascia, sull'Espresso dell'ottobre 1979, raccontava come anni prima avesse sconsigliato Cesare Terranova dall'accettare la candidatura offertagli dal Pci, come "indipendente". Il suo amico non lo ascoltò e, da parlamentare, firmò insieme a Li Causi e a La Torre una memorabile relazione di minoranza della prima commissione Antimafia. Poi tornò in Sicilia, a Palermo, per dirigere l'ufficio istruzione e fu ucciso dalla mafia. Sciascia lo ricorda in quell'articolo a pochi giorni dalla sua uccisione e spiega come gli fosse amico e lo ammirasse: "... era un giudice acuto, tenace, sicuro. E credo gli venisse tanta acutezza, tenacia e sicurezza, appunto dal candore: dal mettersi di fronte a un caso candidamente, senza prevenzioni, senza riserve". Leggendo queste righe ho pensato di capire perché ieri Ingroia, cercando un precedente, abbia evocato Scalfaro, che fu magistrato in Piemonte.
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