La Bonino in Tunisia. "Se si fallisce anche qui addio risveglio arabo"

La Siria precipitata in una guerra civile, labirinto per Cancellerie di mezzo mondo e dove, dice Emma Bonino, «nessuno, senza gli altri, ha soluzione migliore». Piazza Tahrir finita manu militari nel sangue e nel fiume di petrodollari del Golfo. Il Libano in bilico, terreno di battaglia tra sciiti e sunniti. La Libia frantumata tra potentati in ebollizione, frontiera porosa di milizie fondamentaliste. In mezzo, la Tunisia vive il suo difficile passaggio, con le istituzioni di transizione in piena crisi, dopo gli assassini dei più importanti rappresentanti dell’opposizione, il leader del Fronte Laico Choukri Balaid in febbraio, e a fine luglio Mohamed Brahmi, che hanno riportato a protestare in Avenue Bourghida milioni di laici tunisini, i locali Tamarrod. Dopo un braccio di ferro, Ennahda, il partito islamico di maggioranza, ha accettato il dialogo con i partiti di opposizione, che tuttavia ancora vorrebbero - dopo quei fatti di sangue - un’accelerazione nel processo democratico. A differenza dei Fratelli Musulmani d’Egitto, però, Ennahda ha dato qualche segnale positivo, mettendo fuori legge Ansar Al Shaaria, gli estremisti islamici salafiti, segnale anche agli jihadisti che approfittano dell’instabilità della vicina Libia per armarsi. È in questo quadro che avviene la visita del ministro degli Esteri italiano, una visita messa in agenda e preparata in luglio: Emma Bonino ha incontrato tutti gli esponenti politici e istituzionali, dal presidente dell’Assemblea Costituente Ben Jaafar, al presidente della Repubblica Moncef Marzouki, che fu leader del partito laico arrivato secondo alle elezioni per la Costituente nell’ottobre 2011, fino al primo ministro Ali Larayedeh, capo della corrente di minoranza del partito islamico Ennadha, e a tutti i leader politici a cominciare da quello di Ennadha e ex primo presidente tunisino Rached Ghannouchi.
«Lo scopo della visita, in giorni determinanti per la stabilità della Tunisia, era quello di verificare se si può prevenire una vera crisi» dice alla fine Bonino, confidando ai giornalisti che «prevenire le crisi è bene ed è utile, ma può essere frustrante». La valutazione, alla fine degli incontri - anche col ministro degli Esteri che era in visita al Cairo e si è precipitato a Tunisi per incontrare il rappresentante del Paese che è il secondo partner commerciale della Tunisia - è positiva. «Le transizioni democratiche, come purtroppo sappiamo, possono avere degli stop, fare passi indietro... Ma mi pare che tutte le parti, sindacati compresi, stiano cercando di avviare una fase positiva, c’è un accordo di massima per superare lo stallo, scrivere la costituzione e andare nuove elezioni, attraverso una fase guidata da un governo tecnocratico». Anche se, certo, poi ci sono i dettagli, «ed è lì che s’annida il diavolo». L’ipotesi, che par di capire l’Italia consigli, è quella di un governo tecnocratico di transizione - e che sia «ponte» tra Ennahda e laici - verso la fine dei lavori dell’Assemblea Costituente, la nuova costituzione, e nuove elezioni per un vero Parlamento e un nuovo esecutivo. Dal chiuso degli incontri trapela qualche differenza: il premier Larayedeh crede che il periodo di transizione non debba essere troppo lungo, che bastino un paio di mesi, e questo perché invece le opposizioni vorrebbero subito invece aprire la crisi di governo. I tunisini chiedono l’appoggio economico dell’Unione europea, e una mano potrebbe darla la Bei. «Sarebbe un pessimo segnale, e non solo simbolicamente, se il risveglio arabo naufragasse anche in Tunisia», è quel che il ministro Bonino ha ricordato durante gli incontri. L’Italia, e la comunità internazionale, ha tutto l’interesse a una stabilizzazione del processo democratico in Tunisia, dove lavorano molte imprese italiane. E dove funziona bene la regolazione dei flussi migratori, grazie anche a un accordo di cooperazione bilaterale, con training italiano delle forze di sicurezza tunisino.
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