La Bonino spacca i Giubbonari

Era sembrato il simbolo di un Partito democratico finalmente compiuto: «Con la mia elezione si è superata la logica degli ex», dichiarava trionfante. Era marzo, meno di un anno fa. Matteo Costantini, 32 enne proveniente dalla Margherita, cattolico praticante, «espugnava» la fortezza del circolo Pd di via dei Giubbonari e veniva eletto segretario. Un moderato alla guida di un luogo storico del Pci romano, sezione con falce e martello ancora oggi in bella vista dove hanno militato da Giorgio Napolitano ad Achille Occhetto. Vecchi tempi: oggi Costantini annuncia le dimissioni da segretario. Altroché amalgama riuscito: «Con la candidatura della Bonino fallisce il progetto del Pd come luogo di incontro tra laici e cattolici», dice chiaro e tondo, tentato dall’idea di disertare le urne o addirittura di votare la candidata del Pdl, Renata Polverini.
«Sto lanciando un grido di allarme», spiega l’ormai ex responsabile del circolo, furibondo per come il suo partito sta gestendo la partita delle Regionali. «E’ possibile che nessun leader nazionale abbia avuto il coraggio di metterci la faccia nella sfida del Lazio? Ma cos’è, si accetta solo quando si è sicuri di vincere? Se avessimo fatto le primarie di coalizione e avesse vinto la Bonino, beh, a quel punto sarebbe stato diverso. Ma così no, non ci si può fare dettare l’agenda dai radicali». Nulla di personale contro l’ex ministro, «un politico di alto profilo», ma «siamo distanti anni luce su molti temi: da quelli etici al lavoro». Impossibile fare campagna elettorale per lei, da cui la scelta: dimettersi dalla guida del circolo e rimettere anche l’incarico di assessore del XV municipio nelle mani del partito.
«Al momento non voglio uscire dal Pd, tenterò fino all’ultimo di dare il mio contributo, aggiunge Costantini. Le sue dimissioni stanno facendo discutere i militanti del circolo di via dei Giubbonari, già casa del Fascio trasformata in sezione del Pci nel ’46, popolata da molti ex comunisti che lo avevano eletto di slancio: «E’ più laico di me che sono atea», garantiva una iscritta. E anche Dario Franceschini nei giorni scorsi lo ha chiamato: «Vediamoci, parliamone». Nel congresso dell’autunno scorso, lui, ex margheritino ha sostenuto l’ex comunista Bersani. «Ma sono molto deluso dai suoi primi passi. Il Pd sta rinunciando alla sua missione di sintesi tra il mondo laico e quello cattolico». Non solo: «Deve ancora farci capire se al suo interno prevale la linea giustizialista dipietrista o quella riformista», chiede il giovane dirigente.
Il nodo, ora, sono le Regionali. Nessuna disponibilità a fare campagna elettorale per la candidata scelta ormai anche dal Pd per il Lazio. E nessuna disponibilità a votarla: «Potrei decidere di non andare alle urne». Oppure, potrebbe scegliere il voto disgiunto. «La preferenza a un candidato del Pd e come presidente la Polverini. Ma non ho ancora deciso».
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