Bonino, nè trionfalismi nè anatemi

La candidatura di Emma Bonino a presidente della regione Lazio per conto del centrosinistra non può essere un motivo fondante per uscire dal Pd né, d’altro canto, questa candidatura può essere letta come l’inizio di una nuova era per le sorti della coalizione riformista o come elemento catartico per il futuro stesso del Partito democratico.
È bene su questi temi essere prudenti e riflessivi per evitare di cadere nella pura propaganda o nella più becera strumentalizzazione.
Innanzitutto il rapporto tra i radicali e quelle forze e movimenti riconducibili all’universo dell’area cattolica. Insomma il rapporto tra i radicali e i popolari nel Pd. Francamente mi stupisco dello stupore. Sbaglio nel ricordare che la Bonino era capolista al senato nella mia regione, il Piemonte, appena un anno fa? Sbaglio nel ricordare che la componente radicale fa parte integrante, a tutt’oggi, del gruppo parlamentare del Partito democratico? Sbaglio nel ricordare che i radicali sono parte integrante della stessa “pluralità” che da subito ha accompagnato la nascita del Partito democratico? Certo, non nascondo le scarse affinità culturali tra la mia cultura politica di riferimento, e cioè quella cattolica democratica, e l’universo radicale. Ma sarebbe curioso che basta una candidatura in una regione seppur importante, al di là di come è maturata concretamente questa candidatura, per mettere in discussione la propria appartenenza al partito. Se questo fosse vero noi – soprattutto noi piemontesi – non ci saremmo manco iscritti al Pd dopo la candidatura a capolista, appunto, della Bonino. Su questo versante, credo che la originalità culturale e politica dei cattolici democratici la si gioca sul terreno laico della proposta e della progettualità programmatica e non negli anatemi a giorni alterni. Non a caso il Pd è un partito “plurale” e attorno a questa pluralità fonda la sua scommessa nella fase politica che stiamo vivendo. I Popolari hanno il compito e il dovere di organizzarsi nel Pd non per ricostruire un recinto blindato e inavvicinabile ma perché la pluralità culturale la si affronta seriamente se si hanno munizioni ideali e programmatiche capaci di competere e di prevalere nello stesso partito prima e nella coalizione poi.
In secondo luogo, è anche bene sottolineare che con la candidatura Bonino non nasce una nuova fase politica nella pur recente storia del Partito democratico.
La nuova identità del Pd non riscopre oggi la sua versione originale e più fresca. No, non esageriamo e non cadiamo nel ridicolo. Emma Bonino è indubbiamente una candidata autorevole e capace. Lo dice la sua ormai lunga esperienza politica, istituzionale e ministeriale. Una esperienza, però, che si è sempre anche fortemente contraddistinta per la sua appartenenza politica e culturale nel campo della cultura radicale. Ora, al di là di come è nata e come è maturata concretamente questa candidatura – non senza contraddizioni – credo che oggi il Pd debba continuare la sua normale esperienza politica senza ingigantire un aspetto che non ha nulla dell’epocale.
Trovo francamente esagerate le affermazioni che leggiamo sulla cosiddetta stampa amica dove si confonde la candidatura della Bonino quasi come una sorta di “anno zero” per la coalizione riformista di centrosinistra e per lo stesso cammino politico del Partito democratico. Credo, al riguardo, molto più concrete, e come al solito più realistiche, le affermazioni di Franco Marini che oggi sostiene la necessità di questa candidatura per evitare una persin troppo facile implosione della situazione se si pensa di riaprire l’intera partita della candidatura alla presidenza della Regione Lazio con eventuali primarie. Il tutto, è sempre bene non dimenticarlo, in un contesto dove la candidata alternativa del centro destra ha già iniziato da tempo la sua personale campagna elettorale.
In ultimo, credo sia importante anche una nota a margine sulle primarie. Come tutti sanno, e non solo gli ultras all’interno del Pd, le primarie sono uno strumento importante e decisivo per la selezione della classe dirigente nel partito. Uno strumento, però, che non può diventare un dogma intoccabile e infallibile nella vita interna al partito o, peggio ancora, da allargare perennemente a tutta la coalizione di riferimento.
Capisco le intenzioni e la buona fede dei politologi all’interno del Pd come, del resto, di tutti coloro che individuano in questo strumento la via salvifica per redimere e bonificare l’attuale e la futura classe dirigente politica. Ma il tutto si deve fermare quando si può trasformare in un formidabile strumento di scasso collettivo della coalizione prima e del partito poi. Tanto per capirci, se in Puglia le primarie, oggi come ieri, sono e restano necessarie per dirimere una controversia interminabile, nel Lazio possono rappresentare un elemento di ulteriore intoppo politico e burocratico. È bene, pertanto, che anche gli ultras delle primarie cerchino di adattare la bontà e l’efficacia dello strumento al raggiungimento del fine, e cioè alla vittoria della coalizione e alla miglior unità dell’alleanza.
Attorno alla candidatura della Bonino, quindi, è bene essere realisti e concreti. Non c’è motivo di scandalizzarsi per un episodio, la sua candidatura appunto, che è già largamente conosciuto nella storia recente del Pd né c’è altrettanto motivo per entusiasmarsi oltremisura per una candidatura che non rappresenta certamente un “nuovo inizio” per l’identità politica e culturale del Partito democratico.
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