Bonino candidata, i radicali ora fanno campagna in silenzio

Viaggio nel quartier generale.
Suoni al campanello, la porta si apre di scatto, ma appena entri non trovi nessuno. Silenzio. E forte odore di fumo. In un pomeriggio feriale qualunque, l`ingresso della sede del Partito radicale è deserto, gli unici segni di vita sono poggiati su un bancone: un mucchietto di posta «fresca» e una copia recente di «Avvenire». Zigzagando si arriva nel grande salone delle conferenze stampa, lì c`è il pimpante Sergio Stanzani, 87 anni, seduto sulla sua carrozzella, che chiacchiera di politica con un compagno, mentre in fondo sono seduti dei ragazzi asiatici, di nazionalità a prima vista indefinibile, che studiano chissà quale dossier. Certo, le trenta stanzette della sede di via di Torre Argentina sono piene di gente indaffarata, ma non c`è l`animazione che ci si potrebbe immaginare da un partito che sta vivendo in questi giorni un`esperienza senza precedenti: la candidatura di una loro leader, Emma Bonino, alla conquista di un`istituzione.
Se lei vince, diventa Presidente della seconda regione del Paese e sarà chiamata a governare le cose della sanità, dell`urbanistica, dell`immondizia e le toccherà pure guidare una coalizione fatta di tanti partiti. Da anni, i radicali hanno contribuito a cambiare il costume del Paese, a fare e disfare leggi importanti, muovendosi con metodi tutti loro: sui marciapiedi, con i megafoni, con gli scioperi della fame, strappando con le unghie fazzoletti di spazio in tv. Certo, per brevi periodi hanno anche partecipato (sempre con la Bonino) al governo italiano e a quello europeo, ma gareggiare per una leadership presidenziale e soprattutto puntare a prendere un voto in più degli avversari è davvero un salto culturale per chi coltiva, quasi con narcisismo, la vocazione minoritaria. Esemplari le parole del líder màximo dei radicali, Marco Pannella, nel recente libro-intervista con Stefano Rolando: «Qualcuno mi ha chiesto quale sarebbe il primo provvedimento
che prenderei, se fossi eletto democraticamente "Presidente". Ebbene, sarebbe quello di dimettermi perché, se il Paese mi eleggesse democraticamente, vorrebbe dire che non ha più bisogno di me». Certo, la candidatura della Bonino si «sente» assai sulle fre- quenze di Radio radicale, che le dedica tutto lo spazio consentito ad un`emittente che deve comunque mantenere un profilo da servizio pubblico. Certo, il comitato elettorale di Emma ha sede altrove. Certo, come dice Sergio Rovasio, da 30 anni una delle colonnne del Pr, «per sostenere la candidatura di Emma l`attività del partito si è intensificata, anche di notte, pur senza togliere tempo ai movimenti della galassia radicale». E infatti più di tanto la vita non sembra cambiata a Torre Argentina. Una quotidianità fatta anche da personaggi inimmaginabili nelle sedi dei partiti «normali».
Siamo nei vicoli della Roma barocca, a cinquanta metri dal civico 18 dove c`era la sede storica del Pr, quella degli anni ruggenti. Ora i radicali sono al 76, alloggiati al terzo piano e il destino ha voluto che sotto di loro abitino le Suore Benedettine e sopra le Pie Operaie. In un grandissimo appartamento, «che è nostro ma per effetto di un lungo mutuo in corso, più volte ricontrattato», spiega il tesoriere Maurizio Turco, hanno la loro sede le associazioni di frontiera
(Nessuno tocchi Caino, l`Associazione Coscioni, Non c`è pace senza giustizia), guidate da missionari laici come la trentenne Irene Testa, animatrice del «Detenuto ignoto». E qui, al terzo piano, ne circolano tanti di personaggi originali.
Fino a qualche tempo fa trascorreva qui tutta la sua giornata Andrea Borgia, ultimo discendente della celeberrima famiglia. Ogni mattina, con la tessera dell`Atac in tasca, le sue stampelle, le camicie a scacchettoni, lo sfratto sulle spalle, arrivava a Torre Argentina e leggeva i giornali, oppure raccontava le sue storie. Come quella volta che, ricoverato alla clinica Quisisana per la poliomielite, l`ultimo dei Borgìa si sentì dire: «C`è uno spagnolo, si chiama Antonio, vuol conoscerti». Molti anni dopo, Andrea capì che Antonio, di cognome, faceva Granisci. La sensibilità dei radicali per chi ha gravissimamente sbagliato, anche uccidendo un altro uomo, a Torre Argentina si traduce nella possibilità di lavorare per condannati gravi, che vengono dalla mattina alle sera e poi tornano in carcere. Una coop di ex carcerati fa le pulizie, mentre Francesca Mambro è qui da 12 anni e spiega: «Qui svolgo un lavoro che mi piace, ma questa è soprattutto una famiglia». E continuano a circolare tantissimi poveracci («Gente che sta male, alla quale dai un po` di soldi, alcuni non li rivedi mai più», racconta Rovasio), erranti che trovano un po` di calore in questa Caritas laica e anche in Marco Pannella. Curiosamente il padre padrone dei radicali, uomo sempre pronto a contraddire i suoi compagni con inesorabili «Sì, ma...», mai stato un campione di riconoscenza, è invece il più accogliente con questaumanità dolente. E d`altra parte i barboni del centro storico lo sanno bene: quando passa, Marco lascia sempre qualcosa a tutti.
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