Bonino candidata? E la Binetti se ne va

Dalla Rassegna stampa

In queste ore lo stanno confidando agli amici: se Emma Bonino sarà la candidata del centrosinistra nel Lazio, loro se ne vanno, lasciano il Partito democratico. Si tratta di tre personaggi diversissimi tra loro, ma uniti dalla comune fede cattolica, seppur praticata con diversa intensità. Sono Paola Binetti, Enzo Carra e Renzo Lusetti. Tutti e tre in procinto di lasciare il Pd ed approdare prima al Gruppo misto e successivamente all’Udc di Pierferdinando Casini. Ma senza farsi “mediare” da colui che un tempo è stato il loro capocorrente, Francesco Rutelli. Sarebbe un’emorragia piccola. Ma dolorosa. Tante volte la Binetti ha minacciato di andarsene e non lo ha mai fatto, ma quando lo farà, vorrà dire che Oltretevere avranno annuito. Cattolica rigorosa e di principi tradizionalisti, la Binetti dentro il Pd si è sempre mossa con apparente irruenza ma sempre facendo valere con sapienza la sua rendita di posizione, che le deriva dalla proverbiale sintonia con il cardinale Camillo Ruini, leader di una corrente della Chiesa che è entrata in turbamento dopo la (quasi) decisione del Pd di affidarsi nel Lazio alla leadership della radicale Emma Bonino. Dice Pierluigi Castagnetti, nel Pd capofila di quel che resta dei cattolici democratici: «Il secondo partito del Paese, nella seconda regione del Paese, non può rinunciare a presentare un proprio candidato e oltretutto se si affida ad un personaggio dalle caratteristiche della Bonino, l’errore diventa doppio, perché a quel punto bisogna aspettarsi una fortissima irritazione d’Oltretevere, destinata a complicare assai i rapporti».
E così, attorno ad una candidatura di alto profilo come quella di Emma Bonino - «una fuoriclasse» l’ha definita Pierluigi Bersani - dentro al Pd si stanno consumando contemporaneamente tre vicende di prima grandezza: il progressivo gelo col Vaticano, l’intensificarsi delle fuoriuscite, la formazione di una nuova “governance” alla testa del partito. Il fenomeno dell’emorragia è quello più attuale: se nei prossimi giorni per davvero dovesse concretizzarsi l’addio della Binetti, di Carra (un rapporto storico con Francesco Cossiga e con Gianni Letta) e di Lusetti (legami di lunga durata con il cardinale Ruini e con Ciriaco De Mita), a quel punto la contabilità dei fuoriusciti nell’era Bersani sarebbe destinata ad appesantirsi. Negli ultimi tre mesi hanno lasciato il Pd personaggi diversissimi tra loro: un ex leader di partito come Francesco Rutelli, un imprenditore a suo modo “simbolo” come Massimo Calearo, un personaggio di frontiera come Dorina Bianchi (ha preso casa nell’Udc), ma anche Mario Barbi, da anni uno degli uomini più vicini a Romano Prodi.
E attorno alla vicenda Bonino si è accelerato ed è diventato visibile un altro fenomeno: a tre mesi dalle Primarie che hanno incoronato Pierluigi Bersani, sta cambiando la maggioranza attorno al nuovo leader. Tre giorni fa Franco Marini, che nella campagna congressuale aveva appoggiato Dario Franceschini, si è platealmente e definitivamente smarcato dalla minoranza, l’”Area democratica” raccolta attorno a Franceschini, Fassino e Veltroni. Quando un ex democristiano come Marini arriva ad affermare che «la Bonino è la candidata più forte e autorevole» e soprattutto quando dice di non «vedere rischi sull’elettorato cattolico», allora il messaggio è un altro: l’ex presidente del Senato vuol far capire che lui è tornato a far asse con l’amico di sempre, Massimo D’Alema. E mentre Marini si è trasferito in maggioranza (portandosi dietro, ma obtorto collo, Beppe Fioroni che coltiva buoni rapporti in Vaticano), la presidentessa del partito Rosy Bindi (una delle grandi elettrici di Bersani) si sta invece ritagliando un ruolo da battitore libero. Sui temi più scottanti la Bindi ha preso una posizione autonoma e dissonante da quella del nuovo segretario: sull’aggressione a Berlusconi («non faccia la vittima»), sul dialogo sulle riforme («Così non si va da nessuna parte») e anche sulle Primarie: «Vanno fatte in Puglia e nel Lazio, altrimenti si snatura il Pd».

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