Bonino attacca l'ambasciatore kazako

Dalla Rassegna stampa

«Erano altre le istituzioni che avrebbero dovuto rispondere, e invece ci sono state affermazioni spesso distorte sull’attività della Farnesina: le chiarisco una volta per tutte». Sin dall’esordio, è chiaro che l’intervento di ieri di Emma Bonino davanti alle commissioni Esteri e Diritti umani del Parlamento lascerà il segno. Il ministro non solo difende la Farnesina e se stessa, «con la serenità di chi non ha lesinato alcuno sforzo», e rivendicando quello sforzo come pienamente conseguente alla coscienza e credibilità «di chi ha fatto della tutela dei diritti umani la ragione di un’intera esistenza». Ma rivela che la Farnesina «è stata chiamata a gestire ex post le conseguenze di un caso per il quale abbiamo dibattuto sulla dinamica ex ante». Tradotto nei fatti di cui le parole di Bonino danno la dettagliata scansione significa che il caso Shalabayeva diventa tale solo quando lei ne informa il primo di giugno Angelino Alfano: ma da quel giorno, bisognerà aspettare la metà di luglio - dunque un mese e mezzo - per scoprire che il Viminale ha espulso una persona tutelata dal diritto d’asilo agendo agli ordini dell’ambasciatore kazako.

Quel Yelemessov che ancora ieri – guarda caso in due interviste a giornali berlusconiani - si faceva beffe dell’Italia e del suo ministro degli Esteri, «la signora Shalabayeva l’avete espulsa voi», e «vedrei volentieri il ministro Bonino»: com’è noto, l’ambasciatore kazako, convocato dal ministro degli Esteri italiano aveva risposto di essere in vacanza, passando la palla all’incaricato d’affari della sua ambasciata. Bonino, nell’audizione parlamentare, dice che «i rapporti del Viminale» - da lei chiesti e ricevuti ben prima della pubblica relazione del capo della polizia Pansa letta in Parlamento da Alfano il 16 luglio- «non evidenziavano alcuna intrusività, alcun inaccettabile comportamento del rappresentante diplomatico kazako». È una frase chiave: il Viminale ha taciuto alla Farnesina - nei rapporti che Bonino aveva chiesto il 3, il 5 e l’8 giugno, con informazioni che la Farnesina ha tradotto e inviato all’organizzazione per i diritti umani dell’Onu a Ginevra il 10 - un’informazione essenziale. Adesso, dice Bonino, le cose devono cambiare, «occorre maggiore collaborazione tra istituzioni». Ma soprattutto, la permanenza di Yelemessov in Italia è legata a come Astana si comporterà nei confronti di Shalabayeva e sua figlia: «Il Kazakhstan ci ha fatto sapere in questi giorni di volere buoni rapporti con l’Italia, dipenderà dalla loro disponibilità ad offrire piena collaborazione su pieni diritti e libertà di movimento, valuteremo in quest’ottica, e tempestivamente, le misure più opportune da adottare nei confronti dell’ambasciatore». Ma ancora prima che Bonino parlasse, il vicepremier di Astana - i kazaki sono evidentemente consapevoli di aver valicato ogni correttezza - faceva sapere che «se il nostro ambasciatore sarà espulso reagiremo». In realtà, nonostante i toni forti, «l’Italia si muoverà in modo da evitare controreazioni», riferisce un’alta fonte diplomatica. Bonino in Parlamento ha detto di orientare ogni azione alla difesa dei diritti di Shalabayeva, seguita da vicino sin dai primi di giugno dalla nostra ambasciata ad Astana, e dunque occorre «agire da governo a governo» ed evitare «che una serie di azioni e reazioni indeboliscano la nostra struttura diplomatica ad Astana».

Ben diverso l’atteggiamento di Astana, col vicepremier Yerbol Orynbayev che ieri ha ripetuto «non abbiamo nessun problema a rimandare indietro Alma Shalabayeva e sua figlia, se l’Italia fornirà garanzie di rientro in Kazakhstan in caso di processo...». Aggiungendo che la signora in Italia «rischia quattro anni di prigione per il suo passaporto falso». Curiosamente è proprio la stessa notizia che ieri, solo mezz’ora prima, dava il Viminale, informato dall’Interpol, e che gli avvocati di Shalabayeva smentiscono: «Che il passaporto sia autentico è stato confermato ancora una volta il 18 luglio dal ministro della giustizia della Repubblica Centroafricana», che è poi lo Stato che lo ha emesso. E che lo aveva certificato per iscritto già lo scorso 21 giugno. Sul passaporto, la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta. Di certo, il caso Shalabayeva non è chiuso. E tantomeno nella politica italiana.  

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