"Bombe solo se c'è largo consenso" ma il Pd boccia l'idea di La Russa

Bombe sugli aerei italiani in Afghanistan «solo se ci sarà una larga condivisione». Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa fa intendere che il governo non forzerà sulle armi d'attacco. Comunque, domani riferirà in Parlamento (alle 10 in Senato; alle 12,30 alla Camera) non solo sull'attentato che è costato la vita a quattro alpini, ma anche sul futuro della nostra missione, inclusala possibilità di un ritiro da Herat.
Il passaggio parlamentare diventa quindi decisivo. Le opposizioni insistono perché si faccia chiarezza al più presto e nella sede istituzionale. Gli schieramenti politici tuttavia si dividono. Non è solo Di Pietro a chiedere il ritiro delle truppe italiane ma anche il "governatore" leghista del Veneto Luca Zaia ribadisce: «Tutte le missioni militari hanno un inizio e una fine: riportiamo a casa i nostri ragazzi». La Russa minimizza i malumori della Lega- che per la verità è sempre stata contraria alla presenza italiana in Afghanistan - e distingue: «Non sono stati esponenti del governo ma Zaia ad avere espresso la sua opinione».
Parla il ministro di una doppia proposta: da un lato dotare gli aerei di bombe; dall'altro una exit strategy dalla zona occidentale afgana, o perlomeno ritirare i reparti operativi e lasciare solo gli addestratori. Sono tutte ipotesi da verificare con la Nato.
Un "no" agli ordigni viene da Emma Bonino, la vice presidente del Senato e leader radicale che conosce bene la situazione afgana dove è stata anche osservatore per conto della Ue. «Con le bombe aumenterebbero solo le vittime civili - osserva Bonino -; se ognuno dei paesi presenti in Afghanistan riflette separatamente con proposte come quella del ministro La Russa si perde il senso della nostra presenza. Il problema non si risolve con gli ordigni». Le fa eco Giuliano Amato: «Bombe o no bisogna prendere atto che quella è una guerra. E come in guerra si comportano le persone che sono lì. La sensazione è che tutto finirà male, magari con un accordo tra Karzai e i capi tribali e talebani e comunque male perle dorme».
Fa retromarcia il Pd rispetto a quella che era sembrata un'apertura alle armi d'attacco sugli aerei italiani. Ma Piero Fassino, il responsabile esteri dei Democratici, precisa di non avere mai dato alcuna disponibilità: «Le bombe sui caccia non sono né utili, né opportune, si esporrebbe solo a maggiori rischi la popolazione civile come è successo in passato». Di certo c'è - aggiunge Fassino - la necessità di garantire la sicurezza ai nostri soldati, però «si può fare con altri mezzi». Mentre Rutelli (Api) sostiene: «Siano i militari a decidere sulle bombe». Secondo il Pdl, no alla "exit strategy". Parlare di exit strategy - avverte Cicchitto - significa «l'abbandono ai talebani di uno Stato che diventerebbe nuovamente un santuario del terrorismo, un tragico errore».
Nel centrosinistra, Pier Ferdinando Casini ribadisce che ci vuole trasparenza e le proposte vanno fatte in Parlamento: «Dall'Afghanistan non si può scappare ma armare i nostri aerei con le bombe significa determinare un cambiamento sostanziale delle nostre modalità d'impiego». Si risveglia il fronte pacifista. «Bombe? Via le truppe», dice Diliberto(Pdci). «E delirante l'escalation del governo», per Ferrero (Rifondazione). Fabio Mussi, leader di Sel: «La retorica sulla missione di pace è insopportabile»
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