Blair, Juncker, gli outsider: la corsa alla presidenza Ue

Stasera a Bruxelles, e ieri sera a Parigi, si attende e si attendeva a cena qualche buona idea per l`Europa. Come in quel vecchio film da Oscar: «Indovina chi viene a cena?». Prima Nicolas Sarkozy e Angela Merkel a quattr`occhi, e poi - oggi loro due con gli altri 25 leader dell`Unione Europea, tutti insieme intorno a un tavolo ad attendere un`ospite tanto importante quanto sfuggente, e cioè l`idea giusta su chi dovrà guidare la nuova Ue sagomata dal Trattato di Lisbona. Il laburista Tony Blair, il popolare Jean-Claude Juncker, il socialista Felipe Gonzàlez e altri ancora: sono tanti i nomi in corsa per la poltrona di presidente europeo e anche per quella di alto rappresentante per la politica estera. Ma i nomi davvero plausibili sono pochissimi. E i giochi sono tutti aperti perché il Trattato di Lisbona non ha ancora ricevuto il viatico dal mercuriale Vàclav Klaus, il presidente ceco che deve ratificarlo. Lo farà (forse) dopo il via della Corte Costituzionale, il3 novembre. Ma nell`attesa, già ieri all`Eliseo e oggi al Consiglio Europeo - il vertice dei capi di Stato e di governo della Ue - eccola cosiddetta «discussione informale», poco meno di un raffinato bazar. Dove contano equilibri millimetrici: Mary Robinson, ex presidente irlandese, raccoglie migliaia di firme su Facebook come futuro «ministro degli esteri Ue»? Ma è laburista, come il compagno Blair, e due compagni ai vertici della Ue non vanno bene. Stasera, tutte le candidature vere o presunte saranno allineate sul tavolo. A cominciare da quella di Blair. Il connazionale Gordon Brown dice che lui sarebbe «orgoglioso e felice» di vedere Blair a Bruxelles: «O di vederlo lontano da Londra», commenta malizioso un diplomatico di qui. David Miliband, il ministro degli Esteri britannico, concorda con Brown. Altri inglesi, però, no: i conservatori, che potrebbero andare al governo in primavera, sparano già colpi di avvertimento. Pro-Blair sembrano essere la Francia, l`Italia (meno entusiasticamente di qualche settimana fa), la Spagna. Per loro, l`ex premier è l`opzione A: politico conosciuto in tutto il mondo, espressione di un Paese forte anche se estraneo all`Eurozona. Mentre il lussemburghese Juncker, o l`olandese Jan Peter Balkenende, o il liberale belga Guy Verhofstadt, sono l`opzione B: un politico meno noto, e più legato alle radici dell`Europa e dell`Eurozona; il portavoce di una piccola nazione dopo tanti «grandi». A Bruxelles gira anche la voce che Juncker, autocandidatosi, sia solo un`esca per Blair: i due si eliderebbero a vicenda, aprendo la via a un terzo purosangue tenuto finora al coperto. Quanto alla Germania, tace: Angela Merkel è andata a Parigi, nel giorno della sua investitura a cancelliera federale, per parlare proprio di Blair. Ma è noto che, sudi lui, condivide i dubbi di altri: uomo troppo legato a Bush e alla guerra in Iraq, mediatore dalle magre fortune in Medio Oriente. Tutto ciò che pensano gli aderenti alla petizione «Stop Blair», su Internet, giunta ieri alle 42.657 adesioni. E proprio ieri, Merkel ha appreso il «no» a Blair espresso dai suoi compagni di coalizione, i liberali di Guido Westerwelle. Sarà difficile far finta di non sentire.
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