Bisogna privatizzarla Intanto denunciamola

Dalla Rassegna stampa

Caro direttore, se esistesse un'organizzazione mondiale della democrazia e volesse aiutare il nostro Paese a tornare ad esserlo, non c'è dubbio che la Rai sarebbe tra i suoi primi obiettivi strategici.

Nell'Italia repubblicana, infatti, è stata lo strumento con cui la partitocrazia ha controllato il consenso e il dissenso, così come il fascismo usò la radio e il cinema.

Sceglie i protagonisti e gli antagonisti di regime, nascondendo alla conoscenza e al dibattito quei temi che potrebbero mettere in difficoltà le oligarchie dominanti.

Prendiamo il debito pubblico: cresciuto spaventosamente dagli anni '70, non è mai stato oggetto di discussione nei programmi di viale Mazzini. Con i cittadini ignari di quello che avrebbe significato, i partiti sono rimasti liberi di comprarsi il consenso attraverso la spesa pubblica.

Per questo l'hanno occupata, la Rai, facendone occasione per rubare denaro oltre che verità.

E chi, come noi Radicali, ha preferito difendere il diritto degli italiani a conoscere piuttosto che lottizzare, è stato fatto fuori dal video; meglio dell'olio di ricino.

Come lei ha ricordato, da tempo abbiamo individuato nella privatizzazione della Rai il primo passo per una riforma del sistema radiotelevisivo. Nel 1995 i cittadini dissero sì alla privatizzazione votando il nostro referendum e furono al solito truffati da un Parlamento trasformato nel luogo dei baratti con la concorrenza, leggasi Fininvest.

Se in una democrazia la difesa del principio "conoscere per deliberare" può ben valere una tassa, per garantirlo non dobbiamo in eterno affidarci agli eredi dell'Eiar. Privatizzare la Rai e assegnare il servizio pubblico, con relativo canone, mediante gara di appalto rappresenta ancora oggi una soluzione, dal 2006 tradotta in proposta di legge dal radicale Beltrandi.

Nuovi referendum, ahinoi, non si possono organizzare prima dell'ottobre 2012, perché le firme raccolte sarebbero inutilizzabili in virtù della moratoria prevista dalla Costituzione nell'anno che precede le elezioni politiche.

Non tutto è perduto però, abbiamo due cartucce da giocare.

La prima: il 6 maggio 2016 scade l'affidamento alla Rai del servizio pubblico. Un tempo sufficiente, accorciabile, per restituire al mercato un'impresa fiaccata dal controllo statuale e liberare professionalità oggi soffocate. Urge ripensare il concetto stesso di servizio pubblico: 1,6 miliardi di euro delle nostre tasche per avere Porta a Porta e Ballarò, Sanremo e la Domenica sportiva...ma scherziamo? Non più "un" servizio pubblico ma diversi pacchetti (informazione, cultura, sport, politica etc) da mettere a gara separatamente. Tra digitale terrestre, satellite e internet ci sono oramai centinaia di canali e diverse piattaforme, assegnare tutta la torta ad un solo editore è fuori dal tempo.

La seconda cartuccia sono le regole, quelle vigenti e non rispettate. Il contratto di servizio tra Stato e Rai pone in capo a quest'ultima obblighi precisi e sanzionabili con una multa sino al 3% del fatturato. Nel frattempo che cambiamo il sistema, ci conviene farle applicare.

Da questa estate duemila italiani hanno aderito alla nostra campagna "InformeRai", denunciando la Rai all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e chiedendo informazione e dibattiti sulle grandi questioni del nostro tempo, sui temi popolari che toccano il vissuto dei singoli. In attesa di armare i suoi lettori con la matita referendaria, oggi basta un click: www.radicali.it/informerai.

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