Il bipolarismo selvatico

Dalla Rassegna stampa

E’ difficile non convenire con Eugenio Scalfari. L`inciucio «è cosa non buona e ingiusta». Dunque, avrebbe torto marcio, smentite o non smentite, Massimo D`Alema. Che ne rivendica la funzione positiva e sembra rappresentarlo come un dovere delle classi dirigenti politiche. Un dovere soprattutto in frangenti particolarmente difficili della vita nazionale, come questo che stiamo vivendo. Tutto qui? Neanche per idea. Perché la questione, come si diceva un tempo, è un`altra. D`Alema, che da un pezzo dell`inciucismo (ricordate il Dalemone?) viene indicato da mezzo mondo come la vivente incarnazione, non aiuta certo a metterla in chiaro, quando per vezzo o per arroganza intellettuale, e comunque per un eccesso di dalemismo, fa orgogliosamente (e provocatoriamente) sua la parolaccia di cui sopra. Ma la sostanza del problema non cambia. Compromesso e mediazione, in politica, sono sempre e comunque imbroglio, pateracchio, svendita a prezzo stracciato di valori e di principi? E il compito dei gruppi dirigenti qual è: gridare così forte da sovrastare anche i cori dei tifosi più accesi? Oppure provarsi a indicare una prospettiva al Paese, fare opera di civilizzazione della lotta politica, e cercare di aprire uno spiraglio non a improponibili ammucchiate, ma a un confronto che abbia al c`entro le riforme? Chiedo scusa per qualche annotazione di carattere personale: Con lo stesso D`Alema e Giuliano Ferrara (al quale rubo, facendola mia, una feroce definizione di quel che sta purtroppo capitando in Italia: «Una parodia di guerra civile combattuta a colpi di souvenir»), ero, giovedì scorso, tra i presentatori del bel libro di Francesco Cundari, «Comunisti immaginari»: quelle parole incriminate le ho ascoltate dal vivo. Magari sarà perché a sessant`anni non si hanno più i riflessi scattanti del giovane cronista politico. O perché mi era parso che lì si parlasse non solo, ma soprattutto del passato e del presente di comunisti e di postcomunisti, e non delle polemiche, o delle risse, di giornata. Ma tutto avrei immaginato, inciucio o non inciucio, tranne che fossero destinate a provocare tanto subbuglio. Così che, confesso, sono rimasto un po` stupito leggendo sui giornali tante reazioni indignate. Poi ci ho riflettuto su, e una risposta ho cercato di darmela. Non è tanto l`inciucio, malauguratamente tirato di nuovo in ballo da D`Alema, a fare scandalo, ma l`idea stessa che, in specie nei passaggi più aspri e pericolosi, la ricerca del compromesso possa essere un compito cui non è lecito ai gruppi dirigenti politici (sempre che siano davvero tali: e questo è tutto da dimostrare) sottrarsi. Meglio, molto meglio, continuare a stendere proclami di guerra totale. Meglio, molto meglio, rilanciare, con tromboni, grancasse, e anche qualche putipù, una concezione selvatica del bipolarismo e del maggioritario per la quale la contesa potrà dirsi conclusa solo se e quando l`avversario sarà stato, una volta per tutte, sgominato: la concezione che ci ha portato dove ci ha portato. Proclamarsi apertamente fautori della difficile ricerca di un compromesso onorevole (che ci consenta di toglierci gli elmetti,. smettendola, per esempio, di accapigliarci su chi siano i mandanti morali dei, lanciatori di statuette, per occuparci, invece, delle riforme, e insomma di tornare a fare politica invece di gridarci l`un l`altro epiteti sanguinosi dalle rispettive curve) significa, è evidente, mettere in conto una fortissima impopolarità, non solo nelle due contrapposte tifoserie e tra i contrapposti capi tifosi. Ma una politica che sia solo ricerca di consenso e di popolarità non va da nessuna parte, e può fare danni incalcolabili. D`Alema la questione, seppure non nel migliore dei modi, la ha sollevata; e forse non è un caso che lo abbia fatto parlando dei tanti vizi ma pure delle non poche virtù del suo vecchio partito, il Pci, che il ruolo del compromesso in politica lo aveva chiaro anche prima che Enrico Berlinguer ne proponesse uno addirittura storico. Invece di indignarsi, forse bisognerebbe chiedergli di entrare nel merito, di indicare anche solo a grandi linee quale potrebbe essere, per lui, il compromesso possibile: potremmo scoprire che vale la pena di ragionarci su, oppure che è disonorevole e inaccettabile. Ma nessuno glielo chiede. E magari non è un caso nemmeno questo.

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