Biotestamento, superare gli steccati ideologici

Dalla Rassegna stampa

La questione per una legge sul fine vita parrebbe semplice: si fa tutto il possibile per salvare la vita del
malato. Ma se le cure non sortiscono effetti accettabili e prolungano solo un’agonia, ecco che il problema della soppressione di una singola esistenza deve essere preso in considerazione. Se il paziente non è in condizione di prendere una decisione in proposito, un collegio medico, i familiari, si devono assumere la responsabilità della scelta. La presentazione del libro di Antonio del Pennino e di Daniele Merlo, "Di che vita morire". tenuta alla Sala del Mappamondo di Montecitorio mercoledì scorso, è un tentativo lusinghiero di riaprire il dibattito. Particolarmente interessato il presidente della Camera Gianfranco Fini, impegnato per superare gli steccati ideologici fra laici e cattolici, e trovare una soluzione condivisa.
Quello che vorrebbe anche Antonio Del Pennino, quando ha ricordato il testo sul fine vita licenziato nella XIVma legislatura. Un testo, quello, legato ad una impostazione liberale che salvaguardava l’autodeterminazione dei paziente e pure non ne vietava l’alimentazione e l’idratazione. Il testo licenziato ora dal Senato soffre invece di un vizio ideologico, per cui il suicidio viene assimilato all’omicidio. La vita è un dono, e siamo tutti d’accordo, ma se questa diventa impossibile, l’individuo che la patisce, ha il diritto di rifiutarla o deve rassegnarsi in modo ineludibile? Il caso Welby è ancora caldo. Più delicato il caso Englaro, nel quale da vent’ anni una ragazza in coma era tenuta in vita artificialmente.
C’erano medici che speravano, e sostenevano che la donna si potesse riprendere, altri che lo escludevano drasticamente o temevano danni irreversibili; il tutto attraverso la tragedia famigliare di un padre esasperato. Merlo è un medico cattolico ma, dopo questa vicenda, ammette almeno un dubbio di fronte ai rischi dell’accanimento terapeutico. Fini si richiama all’articolo 32 della costituzione: "Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge
non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
Chi ha il diritto di stabilire questo rispetto? Questo è un ulteriore aspetto controverso su un campo in cui pure lo sforzo di pensiero è molto diviso. Il libro di Del Pennino e Merlo consiglia il ritorno ad una certa riflessività. Riflessività che, di fronte al caso Englaro, il Parlamento (e non solo) ha purtroppo mostrato di esercitare in maniera insufficiente. Anche per questo, se "Di che vita morire" potrà servire a dare un soprassalto di coscienza, sarà cosa utile. E quando si parla di coscienza, ha ragione Merlo: la coscienza è una sola e non la si divide in laica e cattolica. E, soprattutto, non si può considerare divisibile in una tale maniera.

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