Biotestamento, si discute anche nei Comuni. Molti buoni motivi per evitare scontri "ideologici"

Stefano Caruso, vicecapogruppo e consigliere comunale del Pdl del comune di Massa, ci scrive per esprimere il suo «personale apprezzamento» per la linea politica del presidente Gianfranco Fini e avvertirci che il 21 ottobre nel suo consiglio comunale si discuterà di biotestamento. «Ho seguito gli interventi di Fini in materia scrive Caruso - ma come ben sappiamo la stampa spesso non riporta fedelmente gli intenti, soprattutto politici, che si vogliono manifestare». Di qui la richiesta «di un punto di vista che possa essermi da spunto per la discussione». L’argomento merita senza dubbio uno spazio più ampio della rubrica delle lettere, per due motivi: in primo luogo, sono molti gli enti locali dove, in coincidenza con l’apertura del dibattito alla Camera, si affronteranno analoghe discussioni; in second’ordine una parte della stampa di centrodestra ha cercato di "schiacciare" le valutazioni di Fini sotto l’etichetta del laicismo o addirittura dell’iper-laicismo. In realtà, il presidente della Camera ha espresso in maniera molto precisa il suo pensiero: «Credo - ha detto a fine agosto parlando a Genova - che non si tratti di favorire la morte ma di prendere atto dell’impossibilità di impedirla, affidando all’affetto dei familiari e alla scienza dei medici la decisione». A suo giudizio il testo approvato dal Senato nei concitati giorni del "caso" di Eluana Englaro «difetta nel rispetto di questo principio»: la famiglia, tra le altre cose, non ha alcuna voce in capitolo. Fini aveva specificato di non voler fare «alcuna crociata contro i cattolici», ma aveva aggiunto: «chi dice che su queste questioni decide la Chiesa e non il Parlamento per me è un clericale. Per me spetta al Parlamento decidere». E su questioni relative alla vita e alla morte «non ci può essere un vincolo di maggioranza o di partito». Il tipo di approccio indicato dal presidente della Camera ha trovato importanti sponde nel mondo cattolico, fra cui le parole di Giovanni Reale -professore di Filosofia al San Raffaele di Milano e fra i più noti studiosi del pensiero antico a livello mondiale: «Gli antichi mi hanno insegnato che la vita è sacra, ma mi hanno anche insegnato che non è altrettanto sacro il voler vivere a tutti i costi, aggrappandosi con quelle tecnologie fantasiose alla vita, quando ormai non ce n’è più. La tecnica è straordinariamente valida quando salva dalla morte, non quando prolunga in modo innaturale una vita che è non una vera vita, ma una larva di vita. L’atteggiamento della Chiesa, quando esce da questioni teologiche e da precise verità che hanno fondamento sul Vangelo, dovrebbe essere estremamente prudente». Una parte non irrilevante della Chiesa è convinta che l’approccio "prescrittivo" della legge sul testamento biologico approvata al Senato spezzi un tabù finora gelosamente preservato: quello che poneva l’atto del morire fuori dalla cerchia del potere pubblico, dello Stato, della legislazione, riservandolo alle convinzioni e all’etica personale, all’intimità degli affetti famigliari, insomma al "privato". Portare il tema della morte fra quelli su cui la politica "ha il diritto" di intervenire significa - in prospettiva, magari con maggioranze di tipo diverso al governo e in Parlamento - aprire alla possibilità dell’eutanasia, come altri Stati europei hanno fatto. Importanti anche le conclusioni scaturite da un seminario a porte chiuse tra la Fondazione Adenauer (della Cdu di Angela Merkel) e FareFuturo, che hanno confermato come l’approccio indicato da Fini sia fortemente condiviso dal popolarismo europeo. Nel documento finale si sottolinea «l’imprescindibilità di affermare con chiarezza principi irrinunciabili afferenti al fine vita, ovvero l’opposizione a ogni forma di eutanasia attiva e. al contempo, a ogni forma di accanimento terapeutico». La via da seguire, qualora si voglia regolamentare per legge il testamento biologico, è quella dell’«alleanza terapeutica» tra medico e paziente, E in questo quadro si sottolinea che «il principio della tutela della vita come "interesse della collettività" va necessariamente armonizzato con la libertà in capo a ogni individuo relativamente ai trattamenti sanitari cui essere o non essere sottoposto». Quanto all’alimentazione e all’idratazione, «benché risultino a oggi annoverati tra i trattamenti di base cui il paziente in stato vegetativo può/deve sottoporsi è da riconoscere alla sfera dell’autodeterminazione da possibilità di non fruire delle stesse quando tali somministrazioni risultino possibili solo attraverso l’assunzione di medicinali». Ora, la politica italiana si trova davanti a un bivio: compiere un passo indietro, come richiesto fra l’altro da una lettera firmata da Benedetto Della Vedova e altri venti parlamentari, in favore di una "soft law", una norma meno prescrittiva; oppure emendare il provvedimento varato dal Senato che presenta più di un punto contestabile. Sul nostro giornale Leonardo Tirabassi, che è stato dirigente della Lega per la Lotta contro i tumori,ha di recente invitato a prendersi una lunga pausa di riflessione, anche per tacitare gli "opposti estremismi" di chi ha ideologizzato il tema del fine vita fino a ridurlo al campo di battaglia di un inaccettabile scontro di civiltà. Sono arrivate molte lettere in favore di quell’articolo e noi, noi del Secolo, crediamo che sarebbe davvero la scelta migliore.
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