Bibbia rap

Dalla Rassegna stampa

Spengo il computer e mi trasferisco nel terrazzino, con i giornali da sfogliare. Devo vincere una certa tristezza che mi insidia, non so se il tempo si sia fermato o scorra via silenzioso e inafferrabile. Così maldisposto, gli occhi mi si soffermano su una pagina che riferisce dell'esperimento avviato da un noto gruppo editoriale cattolico, di mettere in vendita una Bibbia in versione rap. Come saggio della straordinaria edizione viene offerto il famoso versetto del Libro dell'Esodo, quando Dio dice a Mosè: "A chi ti chiederà chi io sia, tu rispondi, 'Io sono colui che sono'". Subito dopo, in continuità, dal Libro dei Proverbi: "chi mi offende distrugge se stesso / tutti coloro che mi amano, amano la morte", versi che sembrano essere in sintonia (sostiene il giornale) "con i ritmi rappeggianti". Appresso quelli, ancor più noti, dell'Ecclesiaste: "O vanità immensa, o vanità immensa ! tutto è vanità / una generazione va e una viene / Ciò che è stato e ciò che sarà / ciò che è stato fatto e ciò che si farà / niente di nuovo sotto il sole...". Sono versetti biblici che tutti abbiamo incontrato, sicuramente con un brivido di angoscia.
Leggo e rileggo, mi pare di avvertire in quei testi qualcosa che fortemente contrasta meglio, si oppone - alla dottrina cristiana, e soprattutto cattolica, sulla vita, la morte e l'eternità. Suggeriscono una visione che nega qualunque possibilità di "progresso". In primo luogo quello della formula laicista: il progresso, l'aspirazione al progresso "materiale" che fa muovere gli interessi, le speranze, della gente comune tesa a realizzare le sue aspirazioni, i suoi sogni di una vita migliore, come anche ad attizzare le speculazioni di uomini di potere. Ma c'è qualcosa di più inquietante ancora. "Niente di nuovo sotto il sole", "ciò che è stato e ciò che sarà, ciò che è stato fatto e ciò che si farà", sono espressioni che non lasciano spazio alla possibilità dell'avvento di un Salvatore che dia un senso positivo alla storia, all'uomo e all'umanità. "Una generazione va e una viene", ma il ricambio generazionale non comporta un avanzamento, né in senso materiale né in senso morale. Sembra qui che il tempo si manifesti in una forma non lineare ma ciclica - la forma che comporta la ripetizione dell'evento - sentita come monotona e inutile. L'eterno ritorno Chissà se Nietzsche ha mai considerato che il tempo ciclico, il tempo che ritorna e si avvolge su se stesso, può portare a una ammissione della inutilità del tutto?
Per Nietzsche l'eterno ritorno era invece, credo, un dato positivo. È certo comunque che per il cristianesimo il tempo ha un andamento lineare, di segno positivo: dopo la morte l'anima sì ricongiunge a Dio, è stata salvata dal Dio sulla croce, e tanto più si salva quanto più ha sofferto durante la sua vita terrena. Nel mondo classico l'anima, la povera "animula vagula blandula" di Adriano, era invece destinata a errare senza speranza nel grigio dell'Ade. Non a caso il mondo classico ha, tra i suoi miti centrali, quello dell'età dell'oro che non tornerà più. Comunque, ribadisco, quei versi dell'Esodo e dell'Ecclesiaste mi confermano che tra ebraismo e cristianesimo c'è soluzione di continuità, ed è sbagliato richiamarsi a una tradizione ebraico-cristiana unitaria, per cui - come mi pare ha detto un noto filosofo italiano - è giusto auspicare l'introduzione della Bibbia nella scuola: se non altro perché faciliterebbe ai giovani la conoscenza di opere d'arte ispirate alla Bibbia, oggi incomprensibili nel loro significato. L'argomento è un po' banale e inadeguato: per caso gli studenti tedeschi o americani, abituati alla conoscenza e alla lettura della Bibbia, sono più bravi nell'interpretazione di un'opera d'arte?
Potrei sbagliarmi, ma anche nel mondo protestante c'è prevalenza per una lettura pessimistica di quei versetti, con molti accostamenti all'interpretazione ebraica: da "Moby Dick" a Bartleby, per non parlare di David Foster Wallace o di Philip Roth. Ma non insisto. E forse ho dimenticato qualcosa: anche nella Bibbia c'è il mito del Paradiso terrestre, da cui l'uomo viene cacciato e costretto alla sofferenza e al lavoro con cui riscattarsi.
Il laico si tiene un po' a cavallo tra Vangeli e Bibbia, è abituato a porsi domande alternative sul senso della vita. Mentre, nella sfera religiosa, le due concezioni del mondo sono crudamente inconciliabili tra loro, il laico può scegliere, in un equilibrio più o meno precario, come tra poli di un dato esistenziale dalle molteplici facce. Relativismo? E va bene, mi sto imbrogliando, forse sto cadendo in contraddizione con me stesso. Comunque: la straordinaria Bibbia in versione rap sostituirà finalmente quella stampata da Gutenberg tra il 1452 e il 1455? Bisogna pur rinnovarsi, dovrò comperarmela anch'io: chissà che attraverso il rap non si raggiungano insperate riconciliazioni, nuovi modernissimi ecumenismi.

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