Bersani: tentazioni populiste. Io candidato premier? Forse

Dalla Rassegna stampa

Il Pd non fa da sponda a Bossi. Perché la loro è una partita tutta interna alla maggioranza. Molto, molto confusa. Aspettiamo, comunque». In attesa che il polverone si diradi, Pier Luigi Bersani spiega ai suoi perché non è tempo di aperture al Senatur. A Bossi che va ad Arcore a rivendicare il pallino delle riforme, il segretario del Pd non concede dunque credito. Visto che, come ricostruisce anche il suo vice Enrico Letta, si sta consumando dentro la maggioranza soltanto una partita di giro: «Tra Bossi e Berlusconi non si vedono strappi. La Lega sta solo trattando: via libera al presidenzialismo del Cavaliere in cambio di Bossi sindaco di Milano».
Conclusione del vicesegretario: «Dicono le stesse cose. Con una vittima designata nel Pdl del loro patto: è Fini». E se le cose stanno così - con il pericolo di un «presidenzialismo a curvatura populista», come lo definisce Bersani la tentazione di usare la carta Lega per far saltare gli equilibri nel partito di maggioranza torna nel cassetto.
Rimane sotto chiave per esempio l’idea di mettere in campo una proposta forte sul federalismo per provare a stanare Bossi e "costringerlo" al confronto con il Pd. Ma sul semi-presidenzialismo evocato dal ministro Maroni, l’opposizione interna apre: se la Lega e Fini convergono su questa soluzione dobbiamo andare a vedere, esorta il veltroniano Stefano Ceccanti. E tutta Area Democratica si prepara a chiedere al segretario una linea precisa, di uscire dall’altalena confronto sì-confronto no con Berlusconi. Bersani va in tv dalla Gruber, e mette in guardia premier e ministro delle Riforme chiusi in conclave a Villa San Martino. «A Bossi e Berlusconi dico di stare attenti, perché di chiacchiere sulle riforme ne ho fin sopra i miei, pochi, capelli». Sostengono di volere Senato federale e riduzione dei parlamentari? «Bene, noi siamo pronti: votiamoli. Ma domani. Se no il fossato dell’astensionismo diventerà una voragine». Per il resto, tanti paletti. Si può discutere dei poteri del premier ma con ìl contrappeso di un rafforzamento del Parlamento. E con una nuova legge elettorale che tolga di mezzo il porcellum. Dovesse restare? «Spero proprio di no, ma a quel punto i candidati noi gli sceglieremmo con le primarie ovunque». Elezioni del 2013 che, a domanda, Bersani non esclude di poter lui stesso guidare come candidato premier del centrosinistra, «non escludo nulla, ma certo è prematuro: quando si mette insieme la coalizione e il programma, la persona al momento giusto si trova sempre».
Per il momento, la priorità è tutt’altra. Al centrodestra che chiama l’opposizione al tavolo delle riforme, Bersani oppone le preoccupazioni del Pd. Primo: l’emergenza vera è un piano anticrisi, le modifiche istituzionali senza affrontare di pari passo le condizioni del paese restano lontane alchimie. Secondo: il confronto non parte nemmeno «se Berlusconi pensa di usarlo in realtà solo per i propri interessi». II
"modello" di sistema? Grande è la confusione sotto il cielo del Pdl, osserva Bersani. «Premierato, presidenzialismo, semipresidenzialismo. Scelgano e ci dicano in Parlamento». Ma se immaginano di «far passare sotto un presidenzialismo all’americana un populismo alla sudamericana, non ci siamo proprio. Dovrebbero "scaravoltare" tutto...».

© 2010 La Repubblica. Tutti i diritti riservati

SEGUICI
SU
FACEBOOK