Bersani spera, poi la doccia fredda. "Nel Nord è tutto da ricostruire"

Il risultato c’è. Il Pd vince la maggioranza delle Regioni al voto: 7 su 13. Ma il Lazio e il Piemonte passati al centrodestra sono un boccone amarissimo per i Democratici che avevano sperato in un 9 a 4. E invece portano a casa lo scarto di misura di 7 regioni conquistate a 6 per il centrodestra. Comunque, per Pierluigi Bersani vale un dato su tutti: «Torniamo a vincere. Abbiamo invertito la tendenza. Venivamo dalla sconfitta alle regionali della Sardegna e dell’Abruzzo, ora incassiamo una vittoria.
Era un partito morto; ora da qui si riparte con un lavoro che sarà lungo e soprattutto al Nord dobbiamo rimboccarci le maniche».
Cresce però la delusione. Per festeggiare ci sarebbe voluto almeno il successo di Emma Bonino nel Lazio. Nella sede del Pd, in largo del Nazareno, ci hanno creduto fino all’ultimo. Pesa molto la sconfitta del Piemonte consegnato alla Lega, tenuto conto che è «una sconfitta senza alibi - commenta Ermete Realacci - poiché lì si è fatta l’alleanza strategica con l’Udc di Casini e ora il Nord è praticamente tutto nelle mani del centrodestra, con la sola eccezione della Liguria». Dalla segreteria avevano calcolato inoltre che il Pd sarebbe diventato il primo partito in queste elezioni. Secondo le proiezioni, raggiungeva complessivamente «il 28,54% mentre il Pdl è tra il 26 e il 27 per cento».
Ma anche la speranza del mini-sorpasso sul Pdl si infrange presto. Bersani resta undici ore al Nazareno, però rinvia a oggi i commenti ufficiali. I big, tutti insieme al partito, si riuniscono nella stanza del segretario, poi si spostano in quella di Maurizio Migliavacca, il coordinatore organizzativo dove arrivano in
continuazione e alla spicciolata i dati delle sezioni-campione. Ci sono Rosy Bindi, Enrico Letta, Dario Franceschini, Piero Fassino, Livia Turco, Anna Finocchiaro, poi Franco Marini, Beppe Fioroni e anche Walter Veltroni e Massimo D’Alema, gli eterni rivali. Bersani insiste sul punto politico: «Tremonti diceva che saremmo diventati un partito appenninico, che l’avremmo cioè spuntata solo nelle tradizionali roccaforti rosse Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche - invece è stato il Pdl a prendersi una lezione, la nostra resta una vittoria». Aggiunge che «la politica delle alleanze non si tocca».
Quel paio di punti in più rispetto al 26% ottenuto alle europee del 2009 (quando Franceschini era segretario), per i Democratici avrebbe fatto la differenza. Invece il partito si assesta sulla stessa quota delle europee. La resa dei conti interna nel partito ripartirà da li, dalla incapacità di espandersi, come un amo che non riesce a prendere nuovi pesci. La minoranza di Franceschini, Veltroni e Fioroni è già sul piede di guerra. Migliavacca a metà serata analizza: «II Pd avanza di 2-3 punti rispetto alle europee anche considerando i voti andati alle liste dei presidenti; in Emilia è cresciuto di 2 punti, in Toscana di 4, in Umbria di 3 e in Lombardia di un punto e mezzo e se in Piemonte e nel Lazio è leggermente sotto, la lista di Mercedes Bresso ha ottenuto il 6%». In Calabria tuttavia, la débacle di Agazio Loiero porta con sé anche un crollo della lista Pd. Bindi è franca sulle sconfitte democratiche di Campania e Calabria: «In Campania non abbiamo avuto la forza di reagire come dovevamo. Abbiamo pagato i nostri errori, se avessimo reagito avremmo tenuto anche in Campania. In Calabria ci siamo fatti male da soli». Fioroni
lancia l’affondo: «Non possiamo fare finta che per il Pd non ci sia un problema. Nessuno vuole mettere in discussione la leadership di Bersani, però l’astensionismo che è quasi raddoppiato, il fenomeno Grillo che in Emilia raggiunge il 7%, il trionfo della Lega che cannibalizza il Pdl, non possono non farci riflettere».
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