Bersani perde perfino dove la sinistra vince

Le finte facce contente dei vari Enrico Letta, Piero Fassino o Matteo Colaninno non devono trarre nessuno in inganno. Non gli è andata bene, tutt’altro. Il quadro è chiaro: c’è un centrosinistra che mantiene le regioni storicamente "rosse", ma perdendo ovunque voti, e a botte di Grillo, nel senso del dormiente Beppe, perciò in conto Travaglio, e che si becca sul muso il colpo tremendo del Piemonte; un centrodestra che si conferma vincitore al Nord, e come, visto il successo clamoroso di Roberto Cota sulla zarina Mercedes Bresso, che si era provata a mettere insieme la più grande accozzaglia possibile di sigle di sinistra, e che strappa due amministrazioni fondamentali nel Mezzogiorno, la Campania e la Calabria.
Il testa a testa nel Lazio nel momento in cui scriviamo lascia aperto qualsiasi scenario, ma anche se vincerà Emma Bonino, c’è poco da ridere per Pierluigi Bersani, che tra le goliardate giacobiniste dei radicali al tramonto e il pesante legato di Antonio Di Pietro, quest’ultimo, tra l’altro, pesantemente
indebolito, soprattutto rispetto alle sue tronfie aspettative, si troverà in seria difficoltà. Per tacere della Puglia di Nichi Vendola, che si sarà pure ritrovato ancora governatore grazie alla pochezza delle scelte di Raffaele Fitto, ma che ha vinto soprattutto contro il partito democratico che non lo voleva e che ne ha subito la candidatura a colpi di primarie.
Dai dati provvisori di questa tornata di elezioni regionali emergono elementi che dovrebbero indurre il Partito democratico a una profonda riflessione. Nessun tracollo, sia chiaro, ma ci sono segna li preoccupanti. Al Sud il Pd ha perso rovinosamente in Campania, e se per qualunque osservatore intelligente era un risultato scontato dopo le rovine del falso rinascimento di Antonio Bassolino, certo la sconfitta è cocente, se si pensa che Stefano Caldoro, il vincitore, un socialista craxiano, evviva, era un personaggio non di grande popolarità, e che invece lo sfidante, Vincenzo De Luca, ex sindaco di Salerno, era il popolarissimo "sceriffo".
Una bella batosta il Pd e la sinistra l’hanno presa anche in Calabria, anche lì avevano governato, e si vede che non sono piaciuti. Inutile che ora si affannino a lamentare la presenza del terzo candidato, l’imprenditore del tonno, Pippo Callipo, che si è fatto sedurre nemmeno dal boss, Di Pietro, ma dall’ex giudice, De Magistris, perché la somma dei consensi ottenuti dal presidente uscente Agazio Loiero, e da Callipo non sarebbe servita comunque alla vittoria, al contrario di quanto sarebbe avvenuto in Puglia se il
centro destra avesse avuto un solo candidato. Nichi Vendola, leader di Sinistra, Ecologia e Libertà, vale la pena di ripeterlo, non è un uomo del Pd, ha battuto un esponente democratico alle primarie di coalizione e ha riscosso più consensi di quelli ottenuti dalle forze che lo sostengono.
Le Regioni appenniniche rimangono in mano al centrosinistra. E’ un bene essere un partito arroccato sulle montagne dell’Appennino? Naturalmente no, l’Italia è piccola eppure grande, Alpi e Mediterraneo. Le polemiche di retroguardia, le calunnie indirizzate a chi lavora duro, non servono e non pagano. Non è certo servito fingere in Campania che il sottosegretario Bertolaso non abbia fatto il lavoro straordinario che ha fatto. Non è servito nella provincia de L’Aquila, che sta pure per passare al centrodestra, con Antonio Del Corvo in vantaggio sulla presidente uscente, Stefania Pezzopane, protagonista folkloristica dell’antiberlusconismo fra i terremotati, capace, piuttosto che di rimboccarsi le maniche, solo di stigmatizzare l’operato altrui. Sono soddisfazioni.
Il Nord per la sinistra, e per Pierluigi Bersani prima di tutto, è diventato un vero tabù. Ricapitolo. In Piemonte il leghista Roberto Cota è in vantaggio su Mercedes Bresso, governatore uscente. La Lombardia e il Veneto sono saldamente in mano a Pdl e Lega.
In Emilia Romagna prende i voti Beppe Grillo. In Umbria il Pdl è il primo partito, e dico l’Umbria. Il numero delle sigle e siglette della sinistra non si conta. Perciò, non appena i risultati saranno definitivi, ma se ha coraggio già da ieri pomeriggio, inizierà per Bersani il cosiddetto momento della verità, quelle cose noiose come tirare le somme, tracciare bilanci e mettere in chiaro i rapporti con i suoi alleati. Il Partito democratico è nato per forza, come si dice oggi di plastica, in fondo anche il Pdl è nato da un predellino, madre abbastanza ignota. Ma se quest’ultimo è stato dato da tanti politologi come morto, è della sorte del democratico che oggi mi preoccuperei.
Mi auguro che Pierluigi Bersani vorrà regolare i rapporti di forza con l’Idv di Antonio Di Pietro, senza più scendere a infami compromessi, rivelatisi inutili.
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