Bersani mediatore tra le anime del Pd Isolati i «pasdaran»

Dalla Rassegna stampa

«Il nostro appoggio al governo è fuori discussione, ma non possiamo perdere la connessione con il disagio dei cittadini»: in questa frase di Pier Luigi Bersani sono racchiuse tutte le difficoltà del Pd.

Il segretario si muove lungo un crinale accidentato e lo fa con abilità. Il leader deve tenere conto di tanti, troppi fattori. Innanzitutto della volontà del capo dello Stato che intende scongiurare qualsiasi crisi. Perciò Bersani rende onore a Napolitano, anche se il suo omaggio cade nel vuoto: dalla Direzione del Pd nessun applauso. E poi c'è la necessità di mediare tra le diverse anime del partito: Bersani ci prova e ci riesce alla grande. Nella relazione messa a punto prima della direzione con Enrico Letta il leader spunta le unghie ai «suoi» pasdaran, Stefano Fassina in testa, ma anche a chi tifa Monti sempre e comunque. E infatti non è un caso che nel suo intervento Pietro Ichino non accenni all'articolo 18.

La morale della Direzione la fa un redivivo Massimo D'Alema: «Non vorrei dare una rap- presentazione da libro Cuore ma io fatico a trovare motivi di distinzione dalla relazione di Bersani e anche dall'intervento di Walter (Veltroni, ndr), di cui apprezzo lo spirito. Chi aveva costruito una trappola per mettere in difficoltà il governo, isolare la Cgil e spaccare il Pd somiglia un po' a Willy il coyote».

Già, dentro il Partito democratico si è fatta strada l'idea che una non meglio identificata Spectre ha messo nel mirino il Pd e a questo scopo tenta di farlo entrare in frizione con Monti. Bersani non è James Bond ma si difende bene e riesce a mettere tutti d'accordo. Veltroni interviene in Direzione e dà il suo «consenso» alla relazione del segretario, che, alla fine della riunione, viene votata all'unanimità, anche se l'ex segretario è assente. Latitanza non malevola: aveva avvisato subito che sarebbe andato via prima del tempo.

Parlano tutti in Direzione. Il segretario, poi Dario Franceschini, quindi Veltroni. Quando la parola passa a D'Alema, il presidente del Copasir non resiste alla battuta: «La sapiente regia della presidente Bindi ha costruito una scaletta di interventi ad uso delle agenzie». Ed effettivamente quel che va subito in onda è il film di un partito «unito» (per dirla alla Veltroni) che si prende la sua «autonomia» (per dirla alla Bersani) ma che non vuole alimentare venti di crisi. Tant'è vero che a Largo del Nazareno tutti sperano nei tempi lunghi del disegno di legge sulla riforma del mercato del lavoro. Spiegano i bersaniani: «Per noi potrebbe anche essere un vantaggio, perché faremo la campagna elettorale delle amministrative agitando il problema dell'articolo 18».

Nella sala dove si respira armonia a tutti i costi solo Paolo Gentiloni, Nicola Latorre e Stefano Fassina rompono l'unanimismo. Il primo con un intervento di «destra» in cui chiede maggior coraggio al partito. Il secondo buttandosi a sinistra. Il terzo, ovvero sia il responsabile Economia sconfessato da Bersani, non recede nemmeno di un millimetro. Sa che il 60 per cento dell'elettorato sta con lui, sa che un italiano su tre di quelli che votano centro- sinistra sta sviluppando una sindrome da disaffezione rispetto al governo: «Anche le intenzioni positive e condivisibili nella proposta del governo sono tradotte in soluzioni operative che non funzionano». Ma sono pochi sprazzi di vivacità in un dibattito uniforme in cui persino l'ultrà veltroniano Giorgio Tonini esordisce così: «Mi unisco al plauso per la relazione di Bersani». Addirittura il combattivo Fioroni dà ragione al segretario.

Solo sulla legge elettorale si nota qualche differenza. D'Alema difende la bozza Violante, il quale, a sua volta, difende se stesso. Bersani prende qualche centimetro di distanza e i due si inquietano, ma fanno finta di niente, mentre Rosy Bindi, che difende il maggioritario, esulta. Siccome sta male, in una riunione di partito, spargere melassa, ci pensa il tesoriere Antonio Misiani a prendersela con qualcuno. Con i radicali, in modo da non scontentare nessuna componente del Pd: «Noi diamo 600 mila euro l'anno ai radicali, che, nonostante le loro idee sul finanziamento pubblico, mostrano di essere molto affezionati a questa somma».

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