Bersani: “Berlusconi si rassegni, è crisi” ma nel Pd è alta la tensione sulle alleanze

Dalla Rassegna stampa

«Questa è già la crisi. Berlusconi non vuole intenderla ma gliela faremo capire». Nella giornata dell’addio dei finiani al governo, Pier Luigi Bersani, il segretario del Pd, dice con soddisfazione che il conto alla rovescia per mandare a casa il premier è iniziato. Crisi «conclamata», tanto che anche il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini pone al Cavaliere l’aut aut: «O si dimette o presenteremo la mozione di sfiducia». Il "terzo polo" - quello di Casini, Fini, Rutelli e dell’Mpa - è col fiato sul collo del premier.
 E già si pensa al "dopo". I Democratici sono in mezzo al guado delle alleanze elettorali. Sotto botta per la sconfitta alle primarie di Milano del loro candidato Stefano Boeri, si scatenano nel partito polemiche e divisioni. Il vice segretario, Enrico Letta sul sito della sua associazione "Trecentosessanta" avverte che è tempo di cambiare per il partito, che ci vuole «una riflessione in profondità, altrimenti sarà troppo tardi». In pratica, alleanze da ripensare. Clima teso tra il segretario e il suo vice. Oggi Bersani riunisce la segreteria e domani ci sarà un incontro dei big, prima dell’assemblea dei gruppi parlamentari. Appuntamenti che hanno due convitati di pietra: Vendola e Fini. Il pendolo delle future alleanze del Pd si muove infatti tra queste due aree, sinistra e centro. Lo stato maggiore dei Democratici - segretario e Rosy Bindi in testa aprono a «una coalizione democratica ampia», anche con Fini, leader oggi di una destra liberale ma erede del Msi di Almirante. La rilancia ieri al Tg2 Massimo D’Alema, avvertendo che «il rischio maggiore per l’Italia è continuare ad avere un governo che non è in grado di fare nulla perché non ha più maggioranza». Se in pratica, non si riesce a fare il governo di transizione per la riforma elettorale e le misure economiche di emergenza, allora la partita è quella delle alleanze elettorali. E «con Fini - assicura l’ex premier tante cose importanti ci uniscono per voltare pagina».
 In realtà, i finiani stessi sono spaccati su quest’ipotesi. Ci sta Briguglio, non Urso. Italo Bocchino è cauto: «Alleanze spurie solo in caso di emergenza e noi ci auguriamo che l’Italia non si trovi in emergenza». La situazione è tale da dare la stura ai dissensi nelle file democratiche, dove sotto accusa è sia lo strumento delle primarie che gli alleati da privilegiare. Marco Follini si sfoga: «Non voglio che il Pd sia sballottato dalle correnti altrui. La crisi l’hanno fatta soprattutto gli altri, ora noi dobbiamo avere la rotta», e ammette di sentirsi fuori posto se non c’è chiarezza. Beppe Fioroni, leader dei Modem (la minoranza di Veltroni e Gentiloni) è ancora più netto: «Il Pd non faccia come il moscone che sbatte contro la finestra perché vede la luce e spera che qualcuno gli apra per uscire. Basta zigzag. Dobbiamo dire con nettezza che vogliamo l’alleanza al centro con Casini e con Rutelli e, se qualcuno pensa a Fini, anche con Fini. No però al "Nuovo Ulivo" con Vendola e Di Pietro, perché si finisce succubi della sinistra. Non si può fare un’alleanza dal diavolo all’acquasanta». Sulle primarie però, nessun ripensamento: «Sono uno strumento, se non funzionano è la politica che va cambiata». Paolo Gentiloni rincara: «Di fronte alla crisi del governo, non possiamo rassegnarci a uno schema minoritario. No ad essere confinati in una coalizione di sinistra nobilitata dall’espressione "Nuovo Ulivo». Sa bene la stessa Bindi che per il Pd si pone un problema serio se si va alle elezioni con questa legge elettorale perché il pericolo - ragiona - è di lasciare praterie o a sinistra o al centro, strattonati da chi nel partito vuole l’una o l’altra rotta. Critica Emma Bonino, la leader radicale: «Questa è una maionese impazzita, con travalicamenti del premier che dice elezioni solo alla Camera e il Quirinale giustamente gli ricorda di chi sono le competenze. Ma non è adeguato neanche il gioco di inseguirsi sulle mozioni fatte dall’opposizione».

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