"Berlusconi poteva morire" e Maroni litiga con La Russa

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha rischiato «di essere ucciso», ma non ci sono stati errori da parte delle forze dell’ordine «che hanno rispettato le regole di ordine pubblico». Il ministro degli Interni Roberto Maroni difende l’operato di polizia e carabinieri presenti domenica a Milano durante l’aggressione al premier da parte del quarantenne Massimo Tartaglia. Ma di risposte certe ai perché la vita di una delle massime cariche dello Stato possa essere stata messa in pericolo da un souvenir del Duomo lanciato da uno squilibrato, ancora non ce ne sono: Maroni ne parlerà oggi a Camera e Senato.
Intanto il Copasir, Comitato Parlamentare per la Sicurezza Pubblica, guidato da Francesco Rutelli ha convocato Gianni Letta e Gianni De Gennaro (rispettivamente sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’ intelligence e idirettore del Dipartimento per l’informazione), per capire se ci sono state “falle” nel sistema di protezione. Da ricordare che dal 2008 la responsabilità e protezione del presidente del Consiglio, è stata attribuita all’ Aisi, (servizio interno), cui spetta l’invio di comunicazione a Questore e Prefetto «sugli itinerari e luoghi nei quali deve recarsi il premier».
Due i punti sotto la lente di ingrandimento: come ha fatto Massimo Tartaglia ad avvicinarsi così tanto al premier e perché subito dopo l’aggressione Berlusconi, invece di essere portato via, ha avuto il tempo di uscire un’altra volta fuori dall’auto di ordinanza? È difficile trovare il bandolo della matassa nella ragnatela di responsabilità, tanto che sull’argomento si è sviluppato uno scontro a distanza tra Maroni e il ministro della Difesa Ignazio La Russa.
Una polemica, quella che vede coinvolti i due esponenti di Lega Nord e Pdl, che – si vocifera nei palazzi della politica meneghina – potrebbe mettere a repentaglio la poltrona di Questore di Vincenzo Indolfi e quella di Prefetto di Gian Valerio Lombardi. L’aggressione (o attentato) al premier infatti, è arrivata nel giorno seguente agli scontri di piazza Fontana, in un clima forse non particolarmente “adatto” alla richiesta di autografi e strette di mano per il Cavaliere.
Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza, pur riconoscendo la caratteristica di Berlusconi di «parlare con la gente», ha rivelato che lo stesso presidente del Consiglio «temeva potesse succedere qualcosa». Nelle prime settimane di ottobre, all’indomani dell’attentato alla Caserma Perrucchetti a Milano dove perse un occhio il libico Mohamed Game, erano state fonti vicine al premier a consigliare «una certa precauzione» in spostamenti e incontri pubblici.
Pericolo attentati che all’inizio di novembre avrebbe convinto Berlusconi a pernottare a palazzo Chigi, proprio per motivi di sicurezza. Quindi come mai, ad appena due mesi di distanza da quell’attentato proprio nel capoluogo lombardo, la protezione del presidente non è stata all’altezza? E se al posto di Tartaglia ci fosse stato Game con una bomba rudimentale capace di fare danni superiori a una statuetta del Duomo ? «Come si muovono i servizi? - si domanda appunto la radicale Emma Bonino –, Perché la cosa più grave di domenica è la non protezione del premier e questo va approfondito».
E se fosse stato lo stesso Berlusconi a chiedere uno strappo alla regola ? La questione, anche se su livelli differenti, perché privato e non pubblico, si ricollega alle foto che questa estate furono scattate a Villa Certosa, residenza del Cavaliere in Sardegna. «All’epoca dello spionaggio fotografico banalizzato come gossip – dice Carmelo Brigugliodel Pdl vicepresidente del Copasir – feci presente che la questione era rilevante sotto il profilo della sicurezza».
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