Berlusconi: "Fini fuori dal Pdl lasci la presidenza della Camera"

E' finita. Dopo una giornata di riunioni dei berlusconiani e dei finiani, conteggi di deputati in entrata e in uscita e documenti sempre più duri, alla fine Berlusconi ha emesso il verdetto: Fini e i suoi sono fuori dal Pdl. I tre superfiniani Bocchino, Briguglio e Granata sono stati deferiti ai probiviri, mentre Gianfranco Fini pur essendo uno dei due fondatori del Pdl, non è iscritto al partito e quindi non può essere formalmente cacciato. Ma il giudizio politico sul presidente della Camera, contenuto nel documento di sei pagine approvato con la sola eccezione di tre ex An, - che avevano chiesto invano altre 24 ore - è di una tale durezza da risultare inedito perfino perle cronache politiche italiane. «Vogliono fare il gruppo? Facciano quello che vogliono, sono fuori dal partito», ha sentenziato Berlusconi durante l'ora e mezza di vertice a Palazzo Grazioli con lo stato maggiore del partito. «Non sono più disposto ad accettare il dissenso, un vero partito nel partito». Il presidente del consiglio anche nel giorno più drammatico per la sua maggioranza, che potrebbe avere conseguenze per la tenuta del governo, ostenta sicurezza. «Abbiamo una maggioranza salda, riteniamo che non ci sia nessun rischio per il governo. Abbiamo la maggioranza nel paese e il presidente del Consiglio gode di un consenso di oltre il 63%». E adesso Berlusconi non si vuole fermare al divorzio da Fini, ma chiede espressamente che il suo avversario lasci la presidenza della Camera: «I comportamenti di Fini sono incompatibili con i valori del Pdl e con i nostri elettori. Viene quindi meno la fiducia anche per il suo ruolo di garante come presidente della Camera». Naturalmente, aggiunge il premier, «riteniamo che siano i membri del Parlamento a dover assumere un'iniziativa al riguardo». Mentre invece Berlusconi non chiede ai ministri finiani di lasciare il governo, anche perché un'eventualità del genere aprirebbe un problema immediato nell'esecutivo. «Questa decisione sarà assunta nella sede del governo - precisa infatti il premier - ma per quanto mi riguarda non ho nessuna difficoltà a continuare una collaborazione convalidi ministri». Il nemico è Fini. Nel documento c'è perfino una insinuazione che adesso diventa una verità ufficiale del Pdl. «L'unico breve periodo in cui Fini ha "rivendicato" nei fatti un ruolo superpartes - si legge in un passaggio - è stato durante la campagna elettorale per le regionali al fine di giustificare l'assenza di un suo sostegno ai candidati del Pdl». Il documento è una sentenza di lesa maestà: «Fini ha via via evidenziato un profilo politico di opposizione al governo, al partito ed alla persona del presidente del Consiglio». Non si tratta, precisa il Pdl, di impedire il dibattito, ma «le posizioni di Fini si sono manifestate sempre di più come uno stillicidio di distinguo o contrarietà nei confronti del programma di governo, come una critica demolitoria alle decisioni prese dal partito». E questo è un rischio mortale per la tenuta del centrodestra: «I nostri elettori sono sempre più sconcertati e non tollerano più che nei confronti del governo ci sia un atteggiamento di opposizione permanente spesso in sintonia con la sinistra». Per questo «non sono più disponibile ad accettare una forma di dissenso nel partito» che si manifesta «come una vera e propria opposizione, con tanto di organizzazione e un vero e proprio partito nel partito, pronto a dar vita ad una aggregazione politica alternativa al Pdl». «Questo gioco al massacro - ha concluso il capo del governo è incompatibile con la storia del nostro partito e con i nostri elettori. Era l'ora di fare chiarezza».
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