E Berlusconi attende di scoprire l'avversario

Dalla Rassegna stampa

Mentre i vari candidati premier della sinistra si affannano alla ricerca della visibilità, a destra c’è un uomo che non ha bisogno di apparire per attirare, anzi per monopolizzare, l’attenzione. Inutile dire chi è. È sempre lui.

Silvio Berlusconi, l’unico vero «rieccolo» della Seconda Repubblica, non ha bisogno di primarie per candidarsi a Palazzo Chigi, e non ha bisogno di parlare per far parlare di sé.

Tutto quello che fa, e perfino quello non fa, diventa un affare di Stato. La caduta mentre faceva jogging. La vendita di Villa Certosa. La scoperta di un tunnel segreto fra le rocce della Costa Smeralda per fuggire di nascosto. L’assenza ai funerali del cardinal Martini. La presenza nel resort di Briatore a Malindi. Nel centrodestra non si parla, anzi non ci si interroga, che su di lui. Dov’è? Quando torna? Come sta?

Misteri che fanno solo da contorno al mistero per eccellenza: si ricandida a no? Nel giro di quattro mesi, siamo passati dal suo «lo escludo» (12 maggio) al «si fanno le primarie» (8 giugno); dal «sarà Berlusconi il nostro candidato premier» di Alfano (11 luglio) al «credo di sì» dello stesso Alfano l’altro giorno a Cernobbio.

Nel Pdl assicurano che la risposta è sì, e che il Cavaliere lo confermerà quanto prima: c’è chi dice già questo venerdì, alla festa della Giovane Italia a Roma; e chi invece dice che occorre aspettare la riforma elettorale. Insomma sarebbe solo una questione di tempo. Che non vuol dire, però, una questione di secondo piano. Berlusconi, infatti, di tempo vorrebbe prendersene ancora; i suoi colonnelli, invece, gli mettono fretta.

Perché gliene mettano, è questione controversa. La versione ufficiale parla di amore incondizionato per il Capo. Una seconda, un po’ più malevola, parla di preoccupazione, da parte di molti parlamentari, di andare a casa: con Berlusconi in campo, il Pdl anche senza vincere prenderebbe più voti e quindi più seggi. Una terza, perfida ma secondo alcuni realistica, vede invece questo scenario: gerarchi ormai convinti di una sicura disfatta , e desiderosi che questa disfatta porti il nome e il cognome di Silvio Berlusconi. Il quale sarebbe così poi costretto a levarsi di torno una volta per tutte.

Quale che sia la verità, è certo che sul Cavaliere sia in atto, da parte dell’apparato del Pdl, un pressing insistente affinché annunci presto la sua candidatura. Lui è indeciso. Intanto perché non sa ancora come giustificare agli italiani il suo ripensamento: dicono che quest’estate in Sardegna, davanti ad alcuni ospiti, abbia pronunciato un discorso di prova, e c’è da sbizzarrirsi nell’immaginare la scena. Poi, teme nuovi guai giudiziari, primo fra tutti la sentenza sul caso Ruby, attesa per ottobre. Sa anche che nel suo partito non c’è identità di vedute su un eventuale Monti-bis; sa che esiste il rischio di una scissione degli ex An; sa che un conto è candidarsi con il maggioritario e un conto con il proporzionale, e quindi sa che è meglio aspettare di vedere come va a finire la riforma elettorale.

Soprattutto - uomo che vive sulle contrapposizioni - Berlusconi vuol sapere bene contro chi si candiderebbe. Avesse a che fare con un Renzi, sarebbe in difficoltà: il sindaco di Firenze potrebbe essere suo nipote e ha buoni argomenti sia per i moderati sia per l’antipolitica. Ma se dovesse affrontare un’accoppiata Bersani-Vendola, Berlusconi ritroverebbe il vigore dei bei tempi. Potrebbe spiegare agli italiani il suo ritorno con poche ma semplici parole: «Mi ero fatto da parte per senso di responsabilità, ma ora per lo stesso senso di responsabilità non posso permettere che il Paese ripiombi nelle mani dei comunisti. Perché questi sono davvero ancora comunisti: avete visto come hanno ammazzato il povero Renzi?».

Ecco perché il Cavaliere, fino ad ora, ha resistito al pressing di chi vuole, in tempi brevi, l’annuncio di una sua ri-discesa in campo. Non sappiamo se resisterà ancora, e per quanto. Ma un Berlusconi che si facesse dettare i tempi dalla nomenklatura del suo partito, non sarebbe più Berlusconi. Cioè un uomo che, per invecchiato e acciaccato che sia, i suoi colonnelli se li mangia ancora tutti: non fosse altro per il fatto che se li è scelti lui. Che poi sia anche in grado di governare un’altra volta il Paese, questo è un altro discorso.
 

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