Autonomia e democrazia

Dalla Rassegna stampa

La situazione peggiora a vista d’occhio e il barometro della politica sta orientandosi velocemente verso il simbolo della “tempesta”. Le affermazioni di Berlusconi in occasione dell’incontro a Bonn tra i rappresentanti europei del Ppe hanno superato il livello di guardia perché contenevano un deliberato attacco al Quirinale. Un’aggressione violenta che ha mostrato tutta l’insofferenza del premier nei confronti di un Presidente ritenuto da tutti, a cominciare da Fini e Casini, un arbitro imparziale, attento alle regole. Naturalmente il bersaglio principale rimangono i vertici della Magistratura verso i quali Napolitano non avrebbe esercitato la propria influenza per impedire quella che il leader del Popolo della Libertà ritiene un’indebita ingerenza politica. Il nodo dunque è sempre quello della sfida tra poteri sul terreno della giustizia.

Chi viene eletto al governo del Paese, secondo il Presidente del Consiglio, non deve più rispondere delle proprie azioni, come tutti gli altri cittadini, nei tribunali, ma diventa un intoccabile, trasfigurato nella luce del popolo sovrano. La pretesa, come è noto, non è per nulla peregrina in quanto il costituzionalismo si scervella da secoli su come garantire un equilibrio tra poteri ed evitare che uno di questi (il giudiziario) possa modificare con un suo intervento (più o meno pretestuoso e organizzato) la volontà degli elettori. Così come la magistratura difende l’autonomia della propria sfera anche il potere politico deve infatti cautelarsi in questo senso da attacchi delle componenti non elettive del sistema. Ricordiamo a tutti i “tifosi” “pro e anti Silvio” che strappi e forzature in questo campo vanno al di là del grave conflitto di questi anni trasformandosi in insidiosi precedenti che magari in futuro finiranno per ritorcersi contro coloro che oggi sarebbero disposti a qualunque spallata per abbattere il governo Berlusconi.

Chiarito questo va però ricordato al nervosissimo premier che la legittimità del potere democratico richiede altri ingredienti oltre a quello, indispensabile, del voto popolare. Senza quest’ultimi non c’è democrazia ma unicamente populismo: sarebbe, prendendo a prestito una metafora alimentare, come cercare di fare il pane solo con la farina. Senza acqua, lievito e calore, a dispetto della volontà e nonostante la buona fede del panificatore, si finirà per mettere a tavola solo la fondamentale, ma, ahinoi, non commestibile, farina. Per la democrazia le cose non vanno diversamente: senza l’acqua della legge fondamentale a cui tutti devono sottostare, il lievito dei contropoteri diffusi e della opinione pubblica, il calore intenso e pericoloso delle plurali libertà, ci troveremo nel bel mezzo di un altrettanto indigeribile regime plebiscitario in cui la folla dopo aver incoronato il capo non solo non lo può più disturbare ma viene regolarmente interpellata per acclamarlo e confermarlo, prova suprema della legittimazione del Napoleone III di turno, pronto peraltro a ricompensare i sudditi con una più o meno generosa elargizione di concessioni a seconda della contingenza economica e della munifica natura del leader.

Il nostro problema è che oggi in Italia non esiste un centro-destra in grado di imporre un’egemonia al di fuori dell’asse Berlusconi-Bossi, due figure politiche che poco hanno a che fare con la tradizione del moderatismo liberale. Per cui quello che oggi si è imposto, sotto mentite spoglie, è una cultura aziendal-populista basata sulla comunicazione su cui sappiamo abbastanza poco perché la storia sta facendo il proprio esperimento in corpore vili, cioè sugli italiani a cavallo tra il XX e il XXI secolo. Tale cultura comunque è insofferente delle regole e invoca una trasformazione costituzionale che riduca il ruolo dei sistemi di controllo, ritenuti di ostacolo al bene del Paese. Ancora una volta l’Italia paga la sua mancanza di tradizioni e fiducia istituzionale. Per noi contano la grande figura, il notabile, il potente perché sono loro che ci garantiscono, non solo nell’interesse personale o di categoria, scorciatoie, favori, risultati. Dal 1861 non abbiamo mai avuto, a differenza degli altri grandi paesi, una vera e indiscussa istituzione attorno cui riconoscerci e di conseguenza il peso della legittimazione si è scaricato integralmente sui personaggi, sulle loro caratteristiche, sui loro vizi e virtù pubblici e privati. Ancora oggi stiamo pagando pegno a questo limite. Per una considerevole e maggioritaria parte degli italiani è Berlusconi (e non il governo) il cuore del sistema e non esiste alcuna istituzione (compresi i partiti e le grandi culture ideali) per quanto nobile e radicata, in grado di contenerlo e limitarlo.
 

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