Atene docet: riforme subito

Dalla Rassegna stampa

 

La crisi che sta travolgendo la Grecia ha insegnato all’Europa una lezione della quale sarebbe ben ora far tesoro per rivoluzionare l’agenda politica italiana: rimandare delle scelte necessarie significa solo renderle più dolorose.
Se l’Europa avesse condizionato la Grecia a realizzare gradualmente mesi fa le riforme che ha dovuto subire d’un colpo oggi, il prezzo finanziario del tentato salvataggio europeo e il prezzo sociale di quelle stesse riforme sarebbe stato una frazione di ciò che è stato oggi.
Per l’Italia - lo stato più indebitato d’Europa, con altissima pressione fiscale, disoccupazione giovanile e
femminile, corporativismo, inefficienza della pubblica amministrazione, statalismo sia nazionale che comunale - non si tratta di essere pessimisti sulle possibilità che la speculazione finanziarie travolga il nostro paese. C’è solo da cogliere la drammatica opportunità di questo rischio per realizzare immediatamente le riforme strutturali alle quali saremo comunque obbligati, ma che, se ulteriormente rimandate, si trasformeranno in una bomba sociale e finanziaria.
Per individuare gli interventi necessari - pur con tutte le differenze tra italiani ed ellenici in particolare
sulla solidità del nostro risparmio privato - basta di nuovo considerare ciò che la Grecia è costretta a fare
ora: innalzamento dell’età pensionabile, anche in Italia molto più bassa della media europea: riduzione
degli stipendi della pubblica amministrazione, che in Italia sono cresciuti negli ultimi anni più che nel
settore privato; liberalizzazione delle professioni, sulle quali il nostro governo vorrebbe persino fare retromarcia rispetto alle lenzuolatine di Bersani. Su questi tre fronti, provvedimenti immediati per il breve periodo, accompagnati da impegni vincolanti sul lungo, creerebbero un effetto-credibilità che i mercati apprezzerebbero e "restituirebbero" sotto forma di minori interessi sul debito pubblico e maggiori investimenti nel nostro sistema produttivo.
Ma tutto questo non basterebbe, perché rimane - in Grecia oggi, e sarebbe da evitare che arrivi in Italia domani - l’esplosione della rabbia sociale, tanto più incontenibile quanto meno credibile è il ceto politico e delle corporazioni che chiama ai "sacrifici’. Anche su questo piano, non solo la ridda di scandali, ma la violazione sistematica delle regole, e in particolare lo stato criminogeno del sistema giustizia (con l’appendice devastante delle carceri, sulle quali i Radicali stanno conducendo un’isolata azione nonviolenta), pongono gli occupanti delle istituzioni italiane in una condizione non migliore rispetto a quella che spinge i greci alle violenze di piazza. Ecco perché, prima ancora di un qualsiasi provvedimento di politica economica, il parlamento dovrebbe dare un segnale concreto: l’abbassamento del 30 per cento degli stipendi dei parlamentari e l’abolizione del meccanismo truffaldino dei cosiddetti "rimborsi elettorali’ elargiti senza vincoli di rendicontazione. A questi provvedimenti dovrebbe seguire l’istituzione di quell’Anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati (stipendi, interessi economici, presenze e attività istituzionali) per la quale da anni i Radicali italiani si battono alfine di prevenire le forme di sistematica corruzione individuale e riportare alla moralità politica le assemblee elettive, da quelle nazionali fino all’ultimo consiglio comunale. Sarebbe ridicolo illudersi che il governo abbandoni di sua iniziativa la deriva putiniana di gestione della crisi politica che attraversiamo. E sarebbe da irresponsabili tifare per il tanto peggio tanto meglio. Per questo, il compito di richiamare all’urgenza delle riforme per il taglio della spesa pubblica e di quella partitocratica è oggi nelle mani delle opposizioni.
Un’impostazione autenticamente "liberista" - che non è un insulto, come ha ritenuto finora la sinistra ufficiale, in buona compagnia di Tremonti, dimostrando di non conoscere la differenza tra mercato competitivo e affarismo oligopolistico - dovrebbero andare di pari passo con un progetto di riconversione sociale e ambientale della spesa pubblica, attraverso il trasferimento della tassazione dal lavoro all’ambiente e la riconversione dell’assistenzialismo per i (sempre meno) garantiti a favore di un welfare per i più poveri e gli esclusi.
È anche un problema di metodo: nella cancellazione di ciò che resta dello stato di diritto, l’alternativa non si realizza per gentile concessione degli spazi aperti dagli scandali o dalle faide altrui, ma attraverso la nonviolenza e il richiamo al rispetto delle regole, cioè a quella "forma" delle istituzioni senza la quale nessuna "ri-forma" è possibile. Per questo, l’azione radicale sulle carceri non dovrebbe continuare a rimanere isolata e inascoltata. Non c’entra con la Grecia e le sue strade in rivolta? A me pare di sì.

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