Astensioni, incubo francese. Record nel Lazio, il 10% in meno

Assenteismo. La bestia nera si è manifestata aggressiva nella prima giornata di voto. A meno di uno scatto finale senza precedenti saranno molti di meno gli italiani che andranno alle urne in questa tornata regionale fortemente condizionata dalla politica. Niente a che vedere con i francesi. Ma loro non sono mai stati grandi elettori, appassionati di matita e scheda. Però ci saranno tanti votanti in meno. Questo sembra certo.
Giustificazione climatica: finalmente una bella giornata di sole. Legale, nel senso di ora: il primo giorno è il più pesante. Politica: la gente non ne può più di affrontare la crisi senza sentirsi in alcun modo aiutata mentre i politici litigano. E, alla fine, sarà proprio con questo che bisognerà fare i conti una volta che i risultati saranno stati acquisiti e le forze politiche potranno misurarsi con dati reali e non con i sondaggi e le sensazioni. Oltre che a cercare di capire perché in tanti hanno scelto di restarsene a casa. Non certo solo perché c’era il sole. E poi magari scoprire che anche il bavaglio messo alle trasmissioni di approfondimento politico è stato anche quello un errore. Così come le divisioni interne agli schieramenti, per una volta più evidenti nel centrodestra, foriere di possibili rese dei conti in un futuro prossimo. Conferma ancora una volta di un evidente disinteresse nei confronti dei problemi con i quali quotidianamente gli italiani sono costretti a misurarsi.
Alle 22 il Ministero dell’Interno, per le nove regioni monitorate dato che quattro (Toscana, Marche, Calabria e Puglia) forniscono i dati autonomamente, testimoniava di un calo evidente, rispetto alla tornata precedente almeno di nove punti, in netto aumento sui tre fissati nella prima rilevazione delle 12.
Flessioni significative sono state registrate nelle regioni in cui il risultato resta in bilico anche stando agli ultimi sondaggi. Flusso al rilento in Piemonte e nel Lazio. Qui l’assenteismo ha raggiunto quota dei 12 punti.
IL VOTO DEL PRESIDENTE
A Roma ha votato il presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano, accompagnato dalla moglie Clio, si è recato nel pomeriggio nel suo tradizionale seggio in una scuola di via Panisperna, vicino alla sua abitazione privata, a poche centinaia di metri dal Quirinale. Un saluto cordiale con gli altri elettori e i componenti del seggio. Nessuna dichiarazione.
Non ce l’ha fatta Silvio Berlusconi a stare zitto almeno nel giorno del voto. E dopo aver messo la sua scheda nell’urna del seggio in via Scrosati, il premier ha elargito ai presenti un mini-comizio contro Di Pietro «se molliamo ce lo ritroviamo», contro il clima che è stato creato, ovviamente dagli altri, in campagna elettorale», cavalcando gli episodi degli ultimi giorni, la busta con presunta antrace a casa sua, il proiettile, il pacco bomba destinato alla Lega, anche se chi se ne intende ha detto chiaramente che non c’entra nulla con le elezioni. «Spero che l’odio prevalga sull’amore» ha detto il Cavaliere in preda alla «sindrome del candidato» come l’ha lui stesso definita. «Siccome sei circondato sempre dalla tua gente, ti sembra che voti per te il cento per cento delle persone».
Il presidente della Camera, Fini non è stato reso noto quando e dove abbia votato. Questione di privacy e voglia di evidenziare la necessità del rispetto del silenzio elettorale. Che altri hanno mancato. Di Berlusconi si è detto. Ma Umberto Bossi non è stato da meno. ha smentito la possibilità di un sorpasso, un po’ meno di averci fatto un pensierino sulla poltrona di Palazzo Marino nel post Moratti per poi affermare che «il problema è che Berlusconi vada avanti a darci voti per fare il federalismo, tutto il resto è secondario. Io sono un suo alleato fedele, e Berlusconi un alleato fedele della Lega».Se ne riparlerà dopo il conteggio delle schede. Da padre di famiglia Bossi si è augurato che «Renzo la trota» prenda un bel po’ di voti.
Il primo leader nazionale a varcare la porta del seggio è stato Pier Luigi Bersani. Il segretario del Pd ha votato a Piacenza. «Ho la coscienza a posto, abbiamo fatto tutto quello che potevamo» in una campagna elettorale che «poteva essere migliore se, come in tutti i Paesi del mondo, ci fosse stata la possibilità di un confronto diretto tra i contendenti».
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