Assalto alla cassa

Unicredit diventa un «giallo»: quando ieri alle 18 è iniziato il consiglio di amministrazione straordinario di Unicredit c'era una sedia vuota: quella dell'amministratore delegato. Alle 15 Alessandro Profumo aveva lasciato la sede di Piazza Cordusio dopo aver consegnato una lettera che sembrava di dimissioni. In serata si è sparsa la notizia che era unicamente una lettera agli azionisti. Insomma, Profumo non intende abbandonare solo perché non rientrava più nei piani della politica. E nelle sue possibili dimissioni c'è puzza di Lega, «profumo di elezioni» che il partito di Bossi vuole affrontare avendo per le mani il controllo di grosse banche del NordEst. Il mercato non ha gradito: in una giornata non negativa a Piazzaffari, i titoli Unicredit hanno ceduto oltre il 2,0%. Perché Profumo avrebbe tolto il disturbo? Il dito è puntato contro i libici che complessivamente hanno in mano il 7,5% del capitale. Di più: Profumo è stato accusato di avere favorito l'aumento della quota di Tripoli senza informare il Cda. Falso: Dietr Rampe, il presidente tedesco della banca, ne era al corrente. Senza contare che i libici - molto soddisfatti della loro operazione - hanno aumentato le loro quota acquistando azioni sul mercato. Quello che è certo è che a Profumo non dispiaceva avere un azionariato con una forte presenza di finanziatori esteri. Non a caso fra i soci ci sono moltissimi fondi stranieri e pochi italiani, vista la pochezza dei Fondi (non solo pensione) di casa nostra. Quindi ì libici non c'entrano: la vera causa dell'uscita di profumo va ricercata nella politica e nei problemi generali della banca. Fra i soci di riferimento (cioè con quote di una certa consistenza) ci sono due Fondazioni: una del Nordest (Verona) e una del NordOvest (Torino). Le Fondazioni controllavano alcune banche che sono poi confluite in Unicredit, erede del vecchio Credito italiano, una delle tre Bin (banche di interesse pubblico) privatizzate.
La missione delle Fondazioni è di distribuire i dividendi che ricevono (in quanto azioniste) da Unicredit. Non si devono, invece, interessare alla gestione della banca. Tutto è filato liscio fino a quando i dividendi sono stati abbondanti. Ora no va altrettanto bene: nel 2010 e nel 2011 non si attendono profitti eccezionali, ma utili sottili. Di qui i mugugni delle Fondazioni. Perché i dividendi diminuiscono mentre,, ad esempi, le banche Usa, hanno ricominciato a fare profitti enormi? La spiegazione è nel tipo di attività che svolgono le banche italiane: meno finanza speculativa e forte attenzione al credito alla clientela, all'economia reale.
Mentre la banche che fanno attività finanziaria estrema si sono riprese abbastanza bene (anche se con l'aiuto degli stati) quelle più impegnate nell'economia reale stanno pagando ora i costi del rallentamento della crescita. Tanto che le sofferenze della banche italiane sono al massimo storico. Sofferenze significa che non saranno restituiti molti prestiti concessi e la banche, tipo Unicredit, debbono metter da parte soldi per prestiti che non vedranno mai.
Di più: si fanno molto prudenti nel concedere nuovi prestiti. Tremonti nel tentativo di superare questo impasse propose alle banche di emettere dei «Tremonti-bond» cioè delle obbligazioni sottoscritte dal Tesoro italiano che andavano a ripatrimonializzare le banche con l'obiettivo di favorire prestiti alle imprese. Profumo è stato uno dei tanti banchieri a dire «no» alla proposta di Tremonti che se l'è legata al dito. Per ripatrimonializzare la banca ha scelto la via del mercato, cioè dell'aumento di capitale. In pratica ha risposto a Tremonti: i soldi ce li mettiamo noi; il credito alle aziende lo concediamo, ma valutando la capacità reddittuale di che ci chiede i soldi. Se lo stato non sta attento a questo «piccolo» particolare che è alla base delle gestione del credito, faccia direttamente i prestiti alle imprese. L'unica nota stonata della faccenda è che Profumo a pochi giorni dall'aumento di capitale, negava che la sua banca sarebbe ricorsa al mercato. E in questo modo si è fatto molti nemici. A cominciare dalla Fondazione Cassa di risparmio di Verona (controllata dal sindaco leghista Tosi) che non sottoscrisse l'aumento di sua competenza (una sessantina di milioni) preferendo ridurre la sua partecipazione in Unicredit. Salvo poi riaumentarlo un po' facendo trading quando il valore dei titoli è sceso. E questo spiega perché Profumo ci tenesse ad aver soci di riferimento (anche libici) che dessero stabilità alla banca e iniettassero liquidità quando necessario e senza far polemiche.
Ci sono poi un altro paio di motivi strutturali alla base delle dimissioni. I1 primo riguarda la ristrutturazione del gruppo con circa 4,500 esuberi, quasi tutti al Nord. Il Centro e il Sud, infatti, in termini di posti di lavoro hanno già pagato a caro prezzo il crescere di Unicredit. Ne sanno qualcosa i lavoratori di Capitalia (Banca di Roma) e del Banco di Sicilia. Ora, invece, tocca al Nord. cioè al NordEst. E la cosa non è gradita a Bossi. Soprattutto in un'ottica elettorale. L'altro motivo strutturale è che la crisi economica stavolta non ha risparmiato il NordEst e la ripresa non sta portando i benefici attesi: l'export batte la fiacca. La spiegazione è semplice: la Germania tradizionalmente il primo importatore di semilavorati del NordEst sta differenziando gli acquisti, rivolgendosi in paesi dove le merci, poi completate in Germania, costano meno. E questo sta mettendo in crisi le imprese (tantissime) del NordEst. E, detto per inciso, spiega perché ci sia un attacco senza precedenti alle condizioni di lavoro e ai diritti. Sono queste imprese a reclamare soldi. E Bossi e Zaia a questo sono molto sensibili. Soprattutto in vista delle elezioni: vogliono mettere le mani sulle banche per sostenere, costi quel che costi, il loro territorio. Ma Profumo non la pensava allo stesso modo: era un banchiere e come tale ragionava, come gli aveva insegnato il suo maestro Lucio Rondelli. E per questo è stato fatto fuori dalla «banda». Ieri in tarda serata il Cda non si era ancora concluso: non sappiamo dirvi come sarà il dopo Profumo, come saranno distribuite le deleghe e chi prenderà il suo posto. Quello che è certo che la «banca in doppio petto» come sosteneva una fortunata pubblicità, ne uscirà con le ossa rotte. Speriamo solo le ossa, visto che un capro espiatorio c'è già: Alessandro Profumo, sarà facile addebitargli i danni che provocheranno altri. Infine una notazione non da poco: in questa situazione la Consob è stata assente. Sarà un caso che il presidente dell'Autorità di borsa se ne sia andato da mesi e non sia stato sostituto? Come il ministro dello sviluppo che Berlusconi non può o non vuole nominare.
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