Assad e lo spettro dell'Iran dietro l'assalto alle ambasciate

Quando si violenta l'extraterritorialità di un'ambasciata è sempre un giorno tristissimo, perché vuol dire che le regole non esistono più. Ieri in Siria sono state attaccate due importanti sedi diplomatiche occidentali: quella degli Stati Uniti e quella della Francia. Le hanno attaccate centinaia di sostenitori del presidente Bashar al Assad, eccitati dai bellicosi proclami della televisione statale. Sono stati affrontati con grande (e molto sospetto) ritardo dalle forze di sicurezza siriane che, come accade in ogni Paese civile, dovrebbero garantire la protezione di tutte le sedi diplomatiche.
La colpa delle ambasciate, o meglio di due coraggiosi ambasciatori, l'americano Robert Ford e il francese Eric Chevallier, è stata di aver abbandonato la felpata consuetudine dei telespressi e delle proteste ufficiali, per andare di persona ad Hama, la città-teatro di alcune tra le più sanguinose manifestazioni di protesta contro il regime. Manifestazioni represse brutalmente con un prezzo altissimo di vite umane. Secondo le associazioni per i diritti umani, dall'inizio delle proteste i morti sono oltre 1.400. Ford e Chevallier, accolti dalla gente con lanci di fiori, hanno sfidato - ovviamente su istruzione dei loro governi - il potere, inviando un forte messaggio di sostegno a tutti coloro che lottano per la libertà e per un minimo di democrazia.
Era scontato che il gesto dei due diplomatici provocasse la dura reazione del regime, che parla di interferenza negli affari interni del Paese, ed ha protestato in tutte le sedi. Tuttavia, pur sapendo quanto la Siria sia importante per l'Occidente e in particolare per gli Stati Uniti, desiderosi di allontanare Damasco dall'abbraccio con Teheran, l'oltraggio di ieri è davvero vergognoso. Sostenere che i fedelissimi di Assad, che hanno devastato il giardino del compound dell'ambasciata Usa, contigua a quella italiana, hanno agito senza un ordine preciso o senza complicità dall'alto è assolutamente ridicolo.
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