Ascoltare di più le professioni

Dalla Rassegna stampa

I professionisti nelle società moderne han­no il ruolo di applica­re saperi e competen­ze e di mettere in relazio­ne la pubblica amministra­zione con cittadini e im­prese. Attraverso il loro de­licato lavoro quotidiano contribuiscono a costruire quel tessuto fiduciario ne­cessario per tenere insie­me una comunità e guidar­la verso obiettivi di interes­se comune. In Italia pur­troppo le cose non stanno andando così e il mondo delle professioni attraver­sa una crisi identitaria che ha pochi precedenti. Di fronte a questa contraddi­zione e a questo sperpero di chance le scienze sociali avrebbero do­vuto studiare con maggiore impegno la materia e i po­litici avrebbe­ro dovuto de­d icare più tempo all' ascolto. Ciò non è avvenu­to negli anni in cui l'econo­mia comun­que cresceva e oggi ci ritro­viamo nel pieno della Grande Crisi con problemi identitari irrisolti e con una condizione sociale, che almeno per le giovani reclute, rasenta l'emergen­za. I professionisti che do­vevano rappresentare l'ac­celeratore della modernità italiana, si ritrovano rele­gati in una condizione di invisibilità.

Onestà vuole che si rico­nosca come di errori ne so­no stati fatti da tutte le par­ti in causa. Il dibattito sul­le liberalizzazioni, che è partito su spinta dell'Anti­trust e poi ha attraversato più legislature, si è rivela­to una grande occasione mancata. Le contrapposi­zioni hanno avuto la me­glio sulla ricerca delle solu­zioni e alla fine si è giunti a uno straordinario risulta­to: hanno perso tutti. Era sbagliata l'idea stessa di equiparare le professioni alle imprese e sottoporle a una regolazione tipica del­le attività economiche? Probabilmente no, la riven­dicazione del carattere in­tellettuale del loro prodot­to non era sufficiente per distinguere gli studi pro­fessionali dalle imprese commerciali. Perché que­sto principio dovrebbe va­lere per un architetto e non per la Microsoft che un discreto contributo al­lo sviluppo della cultura moderna lo ha pur dato? Gli errori dei liberalizzato­ri sono stati altri. Aver fat­t o credere che si volesse­ro abolire gli Ordini e non riformarli, aver messo al centro della loro iniziativa il solo tema della concor­renza. È con­vincimento di alcuni prota­g onisti di quella stagione - come Giuliano Amato - che al­la fine più che di un con­fronto costruttivo si trattò di una guerra nutrita da una ostilità che i liberal non avrebbero mai osato mostrare nei confronti del­le imprese industriali.

I professionisti, come del resto la piccola e me­dia impresa, hanno paga­to un sistema di relazioni imperniato sulla grande politica, la grande impre­sa e il grande sindacato. Un patto non scritto che ci ha governato per un lungo tratto della storia naziona­le ma che ci ha portato più deboli dentro il tunnel del­la crisi. Oggi il dibattito è centrato sul rischi di rattrappimento che il no­stro apparato industriale sta cor­rendo e sull’eventualità tutt’altro che remota che un’uscita lenta dalla recessione venga pagata du­ramente in termini di posti di la­voro. Tra qualche mese però quando saremo in grado di fare un censimento più realistico dei danni che la crisi avrà causato al nostro sistema produttivo e si tratterà di mettere in relazione le nostre imprese con il mutamen­to del commercio internaziona­le, finalmente ci occuperemo del­lo stato di salute - si fa per dire - del nostro terziario avanzato. La fotografia che emerge dal­l’indagine sulle aziende del ter­ziario avanzato, condotta sul ter­ritorio nazionale dalla Fondazio­ne Nord Est, non è confortante. La contrazione degli ordini è pe­sante perché le imprese stanno richiamando all’interno servizi che prima acquisivano sul mer­cato.

Il 70% degli intervistati la­menta forti ritardi nei pagamen­ti con conseguenti difficoltà nel garantire la liquidità delle pro­prie aziende. L’occupazione non è crollata solo perché più del 50% delle aziende del terziario avanzato italiano ha uno o due addetti. Infine tre imprese su quattro hanno di fatto ridotto il loro raggio di competizione e si confrontano solo con concorren­ti locali. È con questi dati che bisogna fare i conti. Giuste policy per fa­vorire lo sviluppo del terziario e riforma delle professioni sono due iniziative che devono mar­ciare parallele per essere credibi­li, averle separate - anche solo concettualmente - non ci ha aiutato né nei «meravigliosi An­ni 80» quando non era reato con­frontare Milano con Londra né a cavallo del nuovo secolo quando competenze e mercato non han­no trovato il modo di dialogare.

P.S. Per come si sta profilando la Finanziaria non sembra rispon­dere alle esigenze e alla richieste dei professionisti. Eppure dal lo­ro coinvolgimento potrebbe veni­re un importante contributo nel­la lotta contro l’evasione fiscale.

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