Approvarla senza ritardi

Dalla Rassegna stampa

La riforma del lavoro sembra essere finalmente arrivata all’ultimo miglio. Ci voleva un’importante scadenza Ue (il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno) per convincere partiti e parti sociali a posare le armi. Ancora una volta, il «vincolo esterno» ci spinge a fare quei compiti a casa che altrimenti non faremmo: esattamente la tesi di Angela Merkel, che ha molti torti ma non li ha tutti. Una valutazione puntuale del provvedimento è prematura. Possiamo però fare due commenti di ordine generale. Innanzitutto, la riforma si muove nella direzione giusta. Anche l’Italia avrà un’assicurazione contro la disoccupazione estesa a tutti i lavoratori, con indennità limitate nel tempo ma d’importo adeguato. I giovani precari godranno di maggiori tutele e l’apprendistato diventerà il canale privilegiato di accesso al lavoro. Questa è la parte più delicata della riforma, su cui si giocherà il suo successo. Governo e parti sociali dovranno impegnarsi seriamente per far funzionar bene questo strumento, come in Germania. Infine, le imprese otterranno dalla riforma un po’ di quella flessibilità in uscita che chiedono da decenni: l’articolo 18 allenterà i vincoli al licenziamento individuale. C’è chi dice che la riforma peggiorerà le cose, chi grida «al lupo» perché si toccano antichi tabù, chi fa battute sferzanti e persino chi lancia attacchi personali al ministro. Il provvedimento non è perfetto. È possibile che alcune misure non abbiano i risultati previsti o peggio che producano effetti perversi. Rischio paventato da Alesina e Ichino (Corriere, 6 aprile): una scelta più netta sul fronte della flessibilità in uscita sarebbe stata preferibile. Ma va riconosciuto che nessun governo aveva mai avuto il coraggio di muoversi negli ultimi quindici anni. Sotto il polverone, resta poi un fatto certo: la riforma ci renderà un po’ più simili ai nostri partner. Perciò l’Unione europea l’aspetta con ansia e Mario Monti deve partire per Bruxelles con l’approvazione parlamentare in tasca. La seconda valutazione è più critica e riguarda il processo decisionale. Qui non c’è stata purtroppo nessuna innovazione, il governo si è impantanato nei vecchi riti della trattativa fra le parti sociali e i partiti (per favore non chiamiamola concertazione). Ai vari tavoli si è arrivati senza un adeguato corredo di dati, analisi, scenari. I partecipanti hanno così potuto sostenere tutto e il contrario di tutto, a seconda delle convenienze, a volte spudorate, dei propri rappresentati. In nessun Paese serio le politiche sociali e del lavoro si fanno così, come al mercato. Da un governo tecnico ci saremmo aspettati innovazione non solo di prodotto, ma anche di processo. Speriamo resti il tempo per dare qualche segnale, magari proprio per correggere i difetti di questo provvedimento. La riforma creerà occupazione? Per il breve periodo è meglio non farsi troppe illusioni. Il mercato del lavoro è come un campo da gioco: servono buone regole, un arbitro capace, un servizio di assistenza per chi è costretto a uscire. Ma l’esito della partita dipende dai giocatori. La crisi sta colpendo duro, e non finirà presto. Nel campo da gioco «riformato», imprese e sindacati devono ora rimboccarsi le maniche: si vince solo investendo, innovando, puntando su flessibilità organizzative e retributive a livello di settore o di azienda. I prossimi mesi saranno cruciali. Il governo continui i suoi sforzi per facilitare e sostenere la crescita. La politica lo aiuti senza ostacolarlo pretestuosamente e usi questo tempo per, saggiamente, rinnovarsi.] La riforma del lavoro sembra essere finalmente arrivata all'ultimo miglio. Ci voleva un'importante scadenza Ue (il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno) per convincere partiti e parti sociali a posare le armi. Ancora una volta, il «vincolo esterno» ci spinge a fare quei compiti a casa che altrimenti non faremmo: esattamente la tesi di Angela Merkel, che ha molti torti ma non li ha tutti.

Una valutazione puntuale del provvedimento è prematura. Possiamo però fare due commenti di ordine generale. Innanzitutto, la riforma si muove nella direzione giusta. Anche l'Italia avrà un'assicurazione contro la disoccupazione estesa a tutti i lavoratori, con indennità limitate nel tempo ma d'importo adeguato. I giovani precari godranno di maggiori tutele e l'apprendistato diventerà il canale privilegiato di accesso al lavoro. Questa è la parte più delicata della riforma, su cui si giocherà il suo successo. Governo e parti sociali dovranno impegnarsi seriamente per far funzionar bene questo strumento, come in Germania. Infine, le imprese otterranno dalla riforma un po' di quella flessibilità in uscita che chiedono da decenni: l'articolo 18 allenterà i vincoli al licenziamento individuale.

C'è chi dice che la riforma peggiorerà le cose, chi grida «al lupo» perché si toccano antichi tabù, chi fa battute sferzanti e persino chi lancia attacchi personali al ministro. Il provvedimento non è perfetto. È possibile che alcune misure non abbiano i risultati previsti o peggio che producano effetti perversi. Rischio paventato da Alesina e Ichino (Corriere, 6 aprile): una scelta più netta sul fronte della flessibilità in uscita sarebbe stata preferibile. Ma va riconosciuto che nessun governo aveva mai avuto il coraggio di muoversi negli ultimi quindici anni. Sotto il polverone, resta poi un fatto certo: la riforma ci renderà un po' più simili ai nostri partner. Perciò l'Unione europea l'aspetta con ansia e Mario Monti deve partire per Bruxelles con l'approvazione parlamentare in tasca.

La seconda valutazione è più critica e riguarda il processo decisionale. Qui non c'è stata purtroppo nessuna innovazione, il governo si è impantanato nei vecchi riti della trattativa fra le parti sociali e i partiti (per favore non chiamiamola concertazione). Ai vari tavoli si è arrivati senza un adeguato corredo di dati, analisi, scenari. I partecipanti hanno così potuto sostenere tutto e il contrario di tutto, a seconda delle convenienze, a volte spudorate, dei propri rappresentati. In nessun Paese serio le politiche sociali e del lavoro si fanno così, come al mercato. Da un governo tecnico ci saremmo aspettati innovazione non solo di prodotto, ma anche di processo. Speriamo resti il tempo per dare qualche segnale, magari proprio per correggere i difetti di questo provvedimento.

La riforma creerà occupazione? Per il breve periodo è meglio non farsi troppe illusioni. Il mercato del lavoro è come un campo da gioco: servono buone regole, un arbitro capace, un servizio di assistenza per chi è costretto a uscire. Ma l'esito della partita dipende dai giocatori. La crisi sta colpendo duro, e non finirà presto. Nel campo da gioco «riformato», imprese e sindacati devono ora rimboccarsi le maniche: si vince solo investendo, innovando, puntando su flessibilità organizzative e retributive a livello di settore o di azienda. I prossimi mesi saranno cruciali. Il governo continui i suoi sforzi per facilitare e sostenere la crescita. La politica lo aiuti senza ostacolarlo pretestuosamente e usi questo tempo per, saggiamente, rinnovarsi.

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