Antidoti specifici per ogni regione

«Nel rapporto emerge che le terapie per contrastare il fenomeno del sommerso non possono che essere differenziate a livello territoriale». Silvano Moffa, presidente della commissione Lavoro pubblico e privato della Camera, illustra contenuti e obiettivi del ponderoso volume, disponibile ora in versione integrale, che racchiude gli atti dell'indagine conoscitiva conclusa poco prima della pausa estiva dalla commissione su «taluni fenomeni distorsivi del lavoro», tra cui il lavoro nero, il caporalato e lo sfruttamento di manodopera straniera. Emergono notevoli differenziazioni a livello regionale, e in particolare il rapporto evidenzia come «l'idea di un sommerso prevalentemente concentrato nel Mezzogiorno non sia sufficiente a chiarire la questione. Al nord il sommerso coinvolge molte piccole e medie imprese, mentre al sud assistiamo anche a una sorta di professionalizzazione del sommerso». Quanto alle diverse tipologie di lavoro in nero, emerge che «nel Lazio vi sono molteplici situazioni di lavoro agricolo irregolare», ma la tendenza coinvolge anche regioni come l'Emilia Romagna e il Veneto, «anche per effetto del massiccio ricorso al lavoro stagionale». Indubbiamente - rileva Moffa - vi è stato «un contenimento del fenomeno negli ultimi tempi per effetto dell'aumento del numero delle ispezioni. Soprattutto quel che è apparso vincente è che si sia proceduto attraverso ispezioni a campione, mirate, come ha messo in luce nel corso delle audizioni il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi». L'ulteriore incremento del numero dei controlli «è tra gli obiettivi del governo», anche in direzione del nuovo statuto dei lavori «che tenga conto dei radicali mutamenti intervenuti negli ultimi anni nel mercato del lavoro». In questa direzione «appare rilevante il contributo fornito dal Cnel relativamente all'analisi dei tassi di irregolarità nel sommerso». In sostanza, occorre verificare in primis se «i profondi cambiamenti del mercato a livello globale abbiano anche comportato la produzione di alcuni effetti collaterali, quali quelli connessi al lavoro nero e al sommerso, nonché al cosiddetto caporalato e allo sfruttamento della manodopera immigrata». Fenomeni - aggiunge - che rappresentano «la negazione di elementari diritti dei lavoratori e rischiano di sottoporre taluni settori produttivi a un regime di concorrenza sleale, con aggressive forme di dumping sociale». Moffa rinvia, tra le altre, alle osservazioni fornite, nel corso delle audizioni, dall'Istat, in particolare laddove si evidenzia «la rilevanza delle piccole imprese nel tessuto produttivo, il persistere di forti divari territoriali di sviluppo, il peso economico dei settori produttivi labour-intensive». Tutti fattori che rendono il nostro paese «permeabile alla presenza di lavoro non regolare». Si pone il luce altresì «il benefico effetto prodotto dalle innovazioni normative introdotte in materia di mercato del lavoro, che hanno condotto a un aumento dell'occupazione e ad una diminuzione del tasso di irregolarità nel periodo 2001-2009, nonché del tasso di incidenza del lavoro irregolare sul Pil».
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