Ansia per Dall'Oglio Annunci e smentite sulla sua uccisione

Dalla Rassegna stampa

Il giallo sulla sorte di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita scomparso nella città di Raqqa il 28 luglio scorso e dato ieri a lungo per morto da alcuni media arabi, s’inquadra nella guerra di tutti contro tutti in cui è sprofondata la Siria, ribelli nazionalisti e milizie islamiste all’assalto del regime in attesa di scontrarsi in futuro tra loro, gruppi salafiti che volgono le spalle a Damasco dopo averci flirtato in passato per costruire il network terrorista con cui oggi puntellano il sogno del califfato, jihadisti strateghi del caos, predoni, stranieri accorsi al richiamo del muezzin globale e già ai ferri corti con i diffidenti locali, sunniti, sciiti, alawiti... Quando in mattinata il sito Zaman Alwasl rilancia la notizia della morte del fondatore di Mar Musa diffusa da una leader del- l’Esercito siriano libero, il principale cartello dell’opposizione armata, sembra che il silenzio in cui è avvolta la vicenda sia tragicamente eloquente. Poco dopo però, il direttore del centro di ricerca parigino Arab Reform Initiatives Salam Kawakibi riesce a mettersi in contatto con «fonti bene informate» di Raqqa, che è al momento sotto il controllo dei ribelli, e smentisce: «Padre Paolo Dall’Oglio è vivo e sta bene». Kawakibi sostiene di non essere neppure sicuro che il religioso sia stato rapito ma di sapere che era andato in visita a un gruppo molto estremista, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante. La verità è la più impalpabile delle oltre 100 mila vittime della crisi siriana. Ma grava sul futuro quanto i cadaveri dei civili, uomini, donne, bambini. La protesta pacifica contro Assad, iniziata a marzo 2011 e proseguita con manifestazioni non violente fino a dicembre nonostante l’immediata feroce repressione dell’esercito, si è trasformata nell’ultimo anno e mezzo in un’opportunità per qualsiasi formazione estremista abbia un’agenda regionale (anche grazie al fatto che Damasco si è servita dei fondamentalisti per screditare gli avversari come quando, a febbraio 2012, ha rilasciato l’ideologo jihadista Abu Musab al-Suri, ritenuto una delle menti degli attentati del 2005 a Londra e deportato 6 anni fa dalla Cia nelle prigioni siriane).

Secondo un rapporto del Washington Institute a partire dal 2012 è aumentato parecchio il numero dei volontari in arrivo per la jihad siriana da Libia, Arabia Saudita, Tunisia, Egitto, Libano, Iraq ma anche dall’Europa e dal Caucaso. Molti combattono con i due principali rami qaedisti locali, Jabhat al-Nusra (JN) e l’Islamic State of Iraq and al-Sham (ISIS), mentre poche decine sono affiliate a sigle salafite minori come Suqur al-Sham e le Farouq Brigades (tristemente note per il comandante Abu Sakkar che mangia il cuore di un soldato lealista su YouTube). Secondo l’Institute for the Study of War i «mujhaeddin» stranieri sarebbero tra i 6 e i 15 mila (i radicali siriani si distinguono da loro definendosi «thawar»). Alcune voci vorrebbero che padre Dall’Oglio fosse nelle mani dell’ISIS, che si divide con i predoni la responsabilità dell’aumento dei sequestri nel nord, ma data la frammentazione della galassia anti Assad è difficile orientarsi. Anche perché, al di là del combattere lo stesso regime, le varie milizie islamiste non vanno d’accordo tra loro e lo vanno men che mai con l’Esercito siriano libero che, per esempio, a marzo 2012, ha processato e ucciso il capo jihadista di Fatah al Islam Walid alBoustani, reo di voler creare «L’Emirato islamico di Homs».

 

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