Anche la Padania è figlia di Roma

Dalla Rassegna stampa

Molto più di una pacificazione. Si potrebbe dire un patto. Tra la comunità civile ed ecclesiale che, come ricorda davanti alla fatale Porta Pia Tarcisio Bertone, «insieme lavorano per il bene comune dell'Italia a vastissimo raggio». Non si tratta semplicemente di riconciliare la memoria risorgimentale con quella dei cattolici. Alle celebrazioni per i 140 anni dalla breccia che riportò Roma nel suo naturale ruolo di capitale d'Italia, si confrontano e sanciscono la loro alleanza due visioni del Paese. Una, rappresentata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è l'idea dell'unità come bene da preservare anche in un quadro istituzionale che si trasforma, come spiega o stesso capo dello Stato. L'altra è quella dei cattolici che si fanno interpreti di una missione: quella di difendere il Paese dal rischio della disgregazione, e che vedono nella necessità di un assetto solidale la chiave per vincere le forze centrifughe pure così forti.
È chiaro che in una giornata del genere ci sono almeno due parti avverse coinvolte loro malgrado: quell'universo ultralaicista che coglie la ricorrenza per dire che «ci vuole una nuova breccia contro partitocrazia e Vaticano», ed è naturalmente il mondo radicale di Marco Pannella, presente con una sua vivace delegazione a Porta Pia; l'altro soggetto chiamato in causa è la Lega, assertrice non solo del federalismo ma di una ristrutturazione delle funzioni amministrative che porti via da Roma, per esempio, i ministeri, e più in generale annunciatrice di un'Italia, separata.
È contro il secondo attore della scena, il neoseparatismo soft del Carroccio, che i difensori dell'unità la e Chiesa si trovano schierati insieme. Unite nella necessità di seminare spirito solidale e di difendere le istituzioni repubblicane. Così il 20 settembre dei 140 anni da Porta Pia trascorre in una sorta di concentrazione di simboli e appelli. Grazie al fatto che nello stesso giorno il Comune di Roma decide di inaugurare il nuovo corso della propria vicenda amministrativa: per la prima volta infatti il Consiglio comunale della città si riunisce sotto la nuova denominazione di assemblea capitolina, in ossequio al decreto su Roma capitale varato proprio venerdì scorso dal governo. È anche l'occasione per insignire Napolitano del fregio di cittadino onorario. E, per il sindaco Gianni Alemanno, di impegnarsi in una lunga dissertazione sull'orgoglio municipale e sull'infondatezza dell'epiteto di Roma ladrona rivolto dai lumbàrd.
La scelta del Vaticano di presenziare alla cerimonia di Porta Pia con il segretario di Stato dà forse il senso del valore di questa ritrovata unità tra Stato e Chiesa nella missione di difendere la nazione italiana. Ne è prova il passaggio più significativo dell'intervento di Bertone: «La nostra presenza a questo avvenimento rappresenta un riconoscimento dell'indiscussa verità di Roma capitale d'Italia anche come sede del successore di Pietro». Affermazione che nella storia della Chiesa si coniuga secondo «la ritrovata libertà del pastore e della Chiesa universale e anche nella ritrovata concordia tra la comunità civile e quella ecclesiale che», appunto, «insieme lavorano a vastissimo raggio per il bene del popolo italiano». Non c'è contraddizione, insiste il sottosegretario di Stato vaticano, tra una simile visione e l'iniziale autoesclusione dei cattolici dalla vita politica dell'Italia: proprio dal «sacrificio e dal crogiuolo di tribolazioni, di tensioni spirituali e morali» suscitati dall'evento della breccia di Porta Pia, «è sorta una prospettiva nuova, grazie alla quale da vari decenni Roma è l'indiscussa capitale dello Stato italiano». E nella Capitale, aggiunge il cardinal Bertone, «il prestigio e la capacità di attrarre sono mirabilmente accresciuti dall'essere altresì il centro al quale guarda tutta la Chiesa cattolica, anzi tutta la famiglia dei popoli».
Napolitano coglie innanzitutto l'importanza del patto tra cattolici e difensori dell'unità, rappresentato dalla presenza del segretario di Stato. «E la conferma del rispetto della Chiesa e della Santa Sede per Roma capitale dello Stato italiano», dice. Dopo la celebrazione a Porta Pia, è in Capidoglio che arrivano le parole più incisive del presidente, nel corso della cerimonia con cui gli viene conferita la cittadinanza onoraria: «Mortificare o disperdere le strutture portanti dello Stato nazionale sarebbe semplicemente fuorviante, esse rappresentano un essenziale tessuto connettivo», ricorda Napolitano, con evidente richiamo alle richieste del Carroccio sulla dislocazione dei ministeri. Richieste che peraltro non cessano nemmeno in una giornata così particolare: a parte le sparate di Borghezio che fa rimbombare il suo solito Roma ladrona, persino un moderato come Roberto Cota ne approfitta per sostenere che «il decentramento dei ministeri sul territorio è qualcosa che esiste anche negli altri Stati e che migliora il rapporto con il territorio». Per non dire del leader dei Giovani padani, il deputato Paolo Grimoldi, secondo il quale «sono gli atteggiamenti di Roma spesso a minare il concetto dell'unità». Quali atteggiamenti? Lo scandalizzarsi per la richiesta di smembrare l'amministrazione dello Stato, per esempio, o persino il tentativo di «scippare festival del cinema e della letteratura, o gran premi di Formula uno a chi li detiene per tradizione». Un piano sul quale ovviamente Napolitano si rifiuta di misurarsi. Non gli manca l'occasione però per ricordare che proprio Roma, come disse Cavour, «è la sola città d'Italia che non ha ricordi solo municipalistici». Fino a una dichiarazione che ha un che di solenne: «È mio doveroso impegno ed assillo che non vengano ombre da nessuna parte sul patrimonio vitale e indivisibile dell'unità nazionale, di cui è parte integrante il ruolo di Roma capitale».
E quindi, nel corso del messaggio rivolto alla prima "assemblea capitolina", un riferimento ancora più diretto alle polemiche innescate dai leghisti: il ruolo di Roma, dice il presidente della Repubblica, «non può essere negato, contestato o sfilacciato nella prospettiva che si è aperta e sta prendendo corpo, di un'evoluzione più marcatamente autonomista e federalista dello stato italiano». Fino al riferimento al rapporto tra laici e cattolici, evocato già con la"commemorazione congiunta"di Porta Pia, dove Bertone ha letto tra l'altro una preghiera preparata appositamente per la ricorrenza: «Nessuna ombra pesi sull'unità d'Italia che venga dai rapporti tra laici e cattolici, tra istituzioni dello Stato repubblicano e della Chiesa», dice appunto Napolitano in Campidoglio, giacché da tali rapporti dovrebbe piuttosto derivare «conforto e sostegno».
Nel suo discorso Alemanno si rivolge in modo più esplicito alla Lega e ai suoi eccessi retorici. Ricorda che «non esiste affatto la Roma ladrona ostinatamente stigmatizzata da alcuni, basta confrontare i dati del gettito fiscale verso lo Stato prodotto dalla nostra città». E poi, sul decreto che ha appena rinnovato la status di Roma capitale, il primo cittadino si affretta a chiarire che non si tratta di un mero contentino per il federalismo strappato ai lumbàrd: «Non si tratta solo di un riconoscimento simbolico ma di uno strumento necessario per equilibrate la dimensione cittadina, la funzione nazionale e la vocazione internazionale dell'Urbe». D'altronde «il patto che fu sottoscritto con la Lega fu molto chiaro e sanciva l'inserimento di Roma capitale nell'impianto complessivo della riforma sul federalismo fiscale: questo atto non può essere violato, se no tutto l'impianto rischia di cadere».
A parte le difficoltà che potrebbero esserci con Regione e Provincia per definire le nuove prerogative di Roma, Alemanno si rimette comunque alla rapidità di Calderoli cui spetta il compito di guidare il lavoro per il secondo decreto attuativo: «Roma capitale mette in difficoltà la Lega che deve reagire con polemiche e battute». Può darsi, ma Alemanno pare generoso nel voler minimizzare un conflitto tra due visioni, quella sostanzialmente separatista e l'altra rivolta allo spirito unitario di Napolitano e Bertone, che una giornata come quella di ieri evoca invece in tutta la sua delicatezza. «Mortificare o disperdere le strutture portanti dello Stato sarebbe fuorviante, e il ruolo di Roma capitale non può essere negato», è la replica del Quirinale ai lumbàrd

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