Amina, la blogger lesbica che non c'è

Dov'è la verità, dove la finzione? Dove comincia la vicenda umana - terribile e attualissima - e dove finisce la - possibile e raffinata - campagna di comunicazione? Tutto è ancora aperto nella vicenda di Amina Arraf, la blogger di madre americana e padre siriano che sarebbe scomparsa in Siria, mentre era impegnata a scrivere un libro autobiografico. Amina, dichiaratamente lesbica, da febbraio ha aperto un blog, A gay girl in Damasco, dove ha raccontato i suoi pensieri e le sue poesie, si è schierata a favore della democrazia e ha tifato apertamente per la "Primavera araba" arrivata anche in Siria.
Lunedì il suo nome è rimbalzato in ogni angolo dell'infosfera, quando sul suo blog è comparso un messaggio allarmato. Lo scrive la cugina, Rania, e dice che Amina, mentre andava ad un appuntamento con attivisti locali, è stata rapita da tre giovani in borghese che, armi in pugno, l'hanno trascinata in una vettura rossa - sulla quale faceva bella vista un adesivo a favore del presidente defunto - e l'hanno portata via. La famiglia di Amina, aggiunge Rania, è disperata e teme per la vita della ragazza. La notizia si diffonde in tutto il mondo come un fulmine, accompagnata da una foto che immortalerebbe il dolce viso di Amina. Anche la mobilitazione, off e online, è immediata: appelli, gruppi Facebook; in Italia i Radicali annunciano un sit-in e l'onorevole Paola Concia interviene sulla vicenda alla Camera.
Ma non passa molto, e arrivano i dubbi. Prima sussurrati, poi in una cascata che mette tutto in discussione. La foto, innanzitutto, è un falso: una donna britannica si riconosce nell'istantanea che dovrebbe ritrarre la blogger: "Quella donna sono io" dice ai media locali. "Amina - aggiunge - è una mia amica. Ma non ci siamo mai incontrate, ci siamo sempre sentite per e-mail: ne abbiamo scambiate oltre cinquecento".
Non solo. Se Amina aveva denunciato un'incursione nella sua casa siriana ad aprile, da parte di agenti in borghese, si scopre in realtà che sul suo blog hanno trovato spazio alcuni testi già usciti on-line nel 2007: l'autrice era sempre la ragazza che descriveva i suoi testi come un mix tra "realtà e fiction". Altre numerose incongruenze le fa notare Robert Mackey sul suo blog sul New York Times. Da un'indagine condotta da Andy Carvin, attivista online con un enorme seguito su Twitter, non uno degli utenti impegnati nella difesa dei diritti umani nel mondo ha mai incontrato Amina di persona. La Bbc, poi, ha sì intervistato la ragazza il mese scorso, ma soltanto via mail. Va aggiunto, inoltre, che dopo una nostra verifica, nessuno su internet o tra i media internazionali, fornisce una foto, né tanto meno la possibile età, della ragazza. Il suo blog, infine, non è stato più aggiornato dal giorno della denuncia. A cosa possiamo credere allora? C'è una ragazza che rischia la vita nelle prigioni del regime siriano? O qualcuno, sfruttando l'anonimato di internet, ha messo in piedi - magari a fin di bene - una campagna politica degna del Guy Fawkes, il cospiratore britannico che sorride dalla maschera di V per Vendetta? Ancora non lo sappiamo. Già tutti eravamo rimasti colpiti della vicenda di Neda, la ragazza iraniana uccisa barbaramente durante la rivoluzione verde in Iran: si scopri in seguito che il suo ovale incorniciato dal velo, già diventato un'icona apparteneva in realtà ad un'altra donna. C'è da sperare, questa volta, che Amina non esista, e non rischi la morte. Ma dobbiamo prepararci: avremo bisogno sempre più, in futuro, di strumenti e informazione autorevole per distinguere il vero dal falso, soprattutto su internet.
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