Allarmi, allarmi siam trasformisti

«Mai e poi mai. Nonostante il mutuo da pagare io resisto». Era l'8 ottobre scorso e Antonio Razzi giurò che non ci sarebbe stata storia: «Ho un patto con Di Pietro, e un dovere di riconoscenza. Ero un povero operaio, oggi sono un deputato grazie a lui». Otto dicembre, festa dell'Immacolata. Neanche un commesso in servizio, Montecitorio vuoto. Tranne lui, Domenico Scilipoti da Messina, disperato e isolato inquilino: «Ma le sembra che a Berlusconi interessi uno come me? Le garantisco: io la sfiducia a questo governo la voterò».
Verba volant ed è una fortuna per tutti. Cosa sia l'onore, e cosa il disonore, è affare che non rileva in politica. Nessuno ha più idea o solo ricordo di cosa possa essere la passione, ciascuno col piccolo e breve conto da sistemare: la rielezione.
«Ho un senso tattile del potere» confessò Annamaria Bernini, arguta ed entusiasta parlamentare bolognese, che aveva appena traghettato corpo e carriera dalle parti di Berlusconi. E il senso tattile fu significativamente trasfigurato nella corposa rotondità di un tacchino da Francesco Pionati, mitico giornalista del Tgl, bollitore del pastone politico, il più noioso tra i soffietti giornalistici, poi naturalmente eletto a Montecitorio. Lì, in veste di reclutatore pro Silvio, spiegò: «Io dico a tutti: tu sei un tacchino e Natale si avvicina. Vuoi morì?». Muori tacchino, se passi con Fini, campi e la fai franca se invece ti trasferisci dalle parti del Cavaliere. «E certo: solo lui ha la possibilità di far rieleggere persone che non hanno alcuna visibilità, alcuna storia, alcuna speranza».
In un Parlamento di nominati il ruolo da svolgere è appunto di ornamento: giungere puntuali per il voto, pigiare il pulsante, raccogliere la diaria giornaliera e tornarsene a casa. Non vedo e non sento. Enrico Musso, un professore genovese improvvisamente rapito dalla politica e temprato nell'agone, nel volgere di pochi mesi ha iniziato ad avvertire di essere diventato un uomo vagante, corpo estraneo, fantasma che cammina: «Ti vogliono totalmente rincoglionito. Hai una sola cosa da fare: papparti la vacanza romana, l'indennità di riguardo e dormire o passeggiare. Quando ti chiamano pigi il pulsante. Il tipico senatore on demand». Ma Musso si annoiava nella nullafacenza e, pur essendo berlusconiano, iniziò a protestare: «Io, purtroppo, leggo le leggi che dovrei votare e se fanno schifo lo dico. Il Parlamento non fa per me».
Purtroppo Musso è un caso isolato, un fenomeno straordinario, debole anticorpo della malattia politica italiana più antica e triste, il trasformismo, che in queste settimane si è sviluppato in forme così acute da ridurre l'orda migratoria da un partito all'altro in spezzoni di un trailer carnevalesco, dove fantasia e realtà spesso si sono sovrapposte fino a ridursi in una immagine unica. Luca Barbareschi si è dichiarato convinto che la sua passeggiata dalle parti di Berlusconi, dopo averlo tradito per Fini, è soltanto il frutto finale della prova d'amore verso il proprio film più propagandato e meno visto: Il trasformista, appunto. In un processo costruttivo che l'ha portato dalla fiction alla realtà, Barbareschi si è trovato teorico del manifesto politico di Futuro e libertà e, nel giro di due sere, sostenitore del bunga bunga come seme ideale e fecondo del libero arbitrio.
Di seggiole, affari e poltrone nulla. Nessuno che ne abbia fatto cenno. Comprati e venduti. O soltanto, diciamo così, semplici e volenterosi voltagabbana. Grandi e piccole facce di bronzo, sistemati per lo più nelle ultime file di quel grande teatro all'aperto che è la politica.
«Ho quarantamila voti, li vuoi o no?», chiedeva testardo Giampiero Catone a Gianfranco Fini. «E ho anche i voti delle confraternite. Li vuoi o no?». Quanto pesano e quanto costano questi voti Dio solo lo sa. È certo che Catone, dopo esserseli visti rifiutare, li ha temporaneamente sistemati in un garage offerto in comodato d'uso dalla maggioranza. Lì sono adesso, e fruttano interessi.
Cambiare idea si può, figurarsi. Maurizio Grassano era leghista, poi espulso a seguito di una vicenda giudiziaria che lo aveva confinato per un mese agli arresti domiciliaci nella sua dimora di Alessandria. Liberati i polsi e trovato Montecitorio ad accoglierlo, Grassano si è dapprima prudentemente sistemato all'opposizione. Un'opposione mediana, al centro di tutti gli schieramenti, un po' di qua e un po' di là, tra i liberali e riformisti di Italo Tanoni, un partito che nella realtà non esiste, un'invenzione di carta, un simbolo realizzato nella copisteria della Camera e promosso a sparring partnerdi Berlusconi. Poi è giunta la campagna acquisti e il pensiero duttile di Grassano si è evoluto: ora è tra i «responsabili», altra fantasticheria del Palazzo, al seguito del governo. «Non ho più un lavoro e quando esco di qui chissà cosa farò» ha confessato.
Niente paura, non ci sarà inganno. Chi coglie l'attimo investe nel suo futuro. Giorgio Conte, ingegnere vicentino, deputato di Fli, si sentì dire: «Fatti furbo. Sei ingegnere, l'amministrazione pubblica genera appalti a tutti i livelli». Conte non si è fatto furbo e non ha colto l'attimo. Nell'attimo c'era tutto compreso anche la garanzia della certa rielezione con accluso il benefit da sottosegretario: segreteria allargata, ufficio ministeriale, autista con una magnifica Audi 6 a disposizione e quasi quattromila euro in più al mese. Ha detto no, il fesso.
Furbi e fessi. Così si dividono gli italiani. I furbi sono quelli che scavalcano la fila, i fessi quegli altri, che aspettano di vincere il concorso.
Il Parlamento è lo specchio dell'Italia. Come dice Gianrico Carofiglio, scrittore e senatore, «la metà dei parlamentari è simile agli italiani, un quarto è peggiore e l'ultimo quarto migliore». I migliori ci sono, e dimostrano che la politica è anche fatica quotidiana, ore di applicazione e di lavoro. È stato però calcolato da un'associazione di analisti politici (www.openpolis.it), attraverso un sistema di indici di produttività (media ponderata di atti compiuti dal singolo parlamentare), che solo 167 deputati, degli oltre seicento in circolazione, fanno seguire agli impegni elettorali i fatti, le azioni, l'impegno coerente. Il resto invece vaga in un universo indistinto. Si sistema in poltrona e attende ignavo il turno.
Che arriva per tutti. L'importante è darsi da fare. Destra e sinistra non fanno eccezione. L'ex candidato premier Francesco Rutelli ha lasciato il Partito democratico per formare una sua piccola tendopoli dal nome animale: Api. Miele per la bocca di Massimo Calearo, industriale veneto, coraggioso imprenditore del Nordest cui Walter Veltroni propose la candidatura come capolista. Calearo, dapprima berlusconiano, è divenuto democratico, poi rutelliano. Infine, il punto d'attracco definitivo: «Il mio voto a questo governo aiuta l'opposizione a trovare il tempo per costituire una vera alternativa. Che oggi non c'è». Calearo dunque vota Berlusconi per favorire Bersani. Ecco, siete adesso giunti alla domanda cruciale: è tutto vero o state sognando?
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