"Alfano non sapeva nulla di Shalabayeva e della figlia"

«Alfano sapeva della caccia al latitante Ablyazov, ma non della moglie e della figlia e di tutto quel che è seguito». Il prefetto Giuseppe Procaccini, ex capo di gabinetto del ministro dell’Interno, dimessosi sdegnato all’indomani dello scandalo perché si sentì ingiustamente accusato, ieri ha raccontato al magistrato di Roma la sua verità. E cioè che il ministro Alfano gli diede incarico di incontrare l’ambasciatore del Kazakhstan perché c’era una grave minaccia di «pubblica sicurezza» da affrontare. Fu così che Procaccini tornò al ministero e alle 21.15 del 28 maggio scorso accolse nel suo studio l’ambasciatore. «Alfano - Procaccini ha riferito al pm Albamonte, così come aveva raccontato già in un’intervista a Repubblica qualche giorno fa - mi informò che l’ambasciatore kazako lo aveva cercato perché aveva urgenza di comunicare con il ministero. Aggiunse che si trattava di una questione di grave minaccia alla sicurezza pubblica». Seguì il blitz della notte.
Procaccini al mattino riferì sommariamente al ministro che il latitante non era stato trovato. Punto. Il resto - ovvero il trattenimento al Cie della signora Shalabayeva, l’espulsione accelerata, il trasferimento in Kazakhstan con un jet privato affittato dall’ambasciata - Procaccini non lo riferì al ministro «perché nessuno informò me». Il prefetto è stato ascoltato come testimone per circa due ore. Ha negato di conoscere pressioni esterne sul caso, tantomeno da parte dell’Eni. E ha ripetuto una versione che sostanzialmente scagiona Alfano da ogni addebito: il collegamento tra Ablyazov, la moglie, e la questione dei diritti umani, venne alla luce solo dopo il 2 di giugno, quando Emma Bonino chiese conto ad Alfano dell’accaduto.
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