Alcoa, scontri a Roma e chiusura rinviata

Giornata di alta tensione ieri a Roma, dove si è assistito a vere e proprie scene di guerriglia in occasione della mobilitazione di alcune centinaia di lavoratori dell'Alcoa provenienti dalla Sardegna – tra loro anche i tre operai che hanno trascorso 4 giorni a 60 metri sul silos dello stabilimento di Portovesme –, per protestare davanti alla sede del ministero dello Sviluppo economico, mentre era in corso il vertice sul futuro dello stabilimento di produzione di alluminio che la multinazionale americana intende chiudere a fine anno. In tarda serata l'annuncio che verrà rallentata la chiusura degli impianti e saranno assicurati gli ammortizzatori anche ai lavoratori dell'indotto, non è servito a calmare gli animi.
La protesta è stata accompagnata sin dalla prima mattina dal ripetuto lancio di bombe carta, petardi, razzi e da duri scontri con la polizia. In serata il bilancio è stato di una ventina di feriti, 14 tra le forze dell'ordine e 6 tra gli operai che hanno risposto alle cariche lanciando piccoli dischetti di alluminio, campioni che si utilizzano nella fonderia, trasformati in vere e proprie armi. A fare le spese del clima di forte tensione è stato il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, che giunto al ministero per esprimere la solidarietà ai lavoratori è stato vittima di una tentata aggressione da parte di alcuni operai – o sedicenti tali –, spintonato e bersagliato di insulti. Secondo alcuni operai, i responsabili sarebbero degli infiltrati esterni. Forse appartenenti alla stessa area antagonista che all'alba aveva cercato di salire sui bus che portavano a Roma i lavoratori Alcoa sbarcati a Civitavecchia, ma respinti dal servizio d'ordine. Anche il ministro Fornero è stata bersagliata di insulti.
Il rallentamento della chiusura degli impianti è il principale risultato dell'incontro al Mise, iniziato con il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti e il vice ministro al Welfare, Michel Martone – insieme ad un'ampia delegazione degli Enti locali, guidata dal presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, ad una trentina di rappresentanti sindacali –, e proseguito nel pomeriggio con il ministro Corrado Passera. Slitterà di circa un mese (rispetto al termine previsto inizialmente dall'azienda del 15 ottobre), infatti, il programma di spegnimento delle celle, per dare tempo ad una delle due aziende interessate di ufficializzare una proposta che ridia un futuro all'impianto prima della chiusura del 31 dicembre. A breve sia la Klesch (che ha inviato una manifestazione di interesse) che la Glencore (che finora ha solo richiesto informazioni) saranno convocate al Mise per verificare l'avanzamento della trattativa e fornire «l'adeguata assistenza per il superamento di eventuali ostacoli e difficoltà», ma lo stesso impegno – spiega un comunicato del ministero – «verrà profuso per eventuali nuove manifestazioni di interesse» (il riferimento è ad un gruppo cinese anonimo che tramite un intermediario avrebbe mostrato interesse a livello verbale per aggiungere nel sito anche la produzione dello zinco). Il ministro Passera, al tavolo ha spiegato come Alcoa sia «un caso molto difficile ma non impossibile, perché si sommano tematiche negative sia di scenario, che di settore, che aziendali», ed ha garantito il suo impegno «personale diretto a trovare una soluzione».
Sul piatto ci sono 15 anni di abbattimento dei costi dell'energia, oltre a 130 milioni di investimenti per le infrastrutture, che dovrebbero procedere di pari passo con il piano del Sulcis. Dall'Enel l'ad Fulvio Conti ha assicurato la «disponibilità» del gruppo a studiare i progetti proposti dalle istituzioni sulle questioni energetiche che riguardano la Sardegna. I lavoratori saranno in carico all'azienda fino a dicembre, poi scatteranno gli ammortizzatori sociali oltrechè per i 500 dipendenti anche per gli oltre 200 lavoratori dell'indotto, che avranno 2 anni di cassa integrazione in deroga e 4 anni di mobilità.
Ma la prospettiva di passare i prossimi anni con il sostegno degli ammortizzatori sociali e senza il lavoro viene seccamente respinta dagli operai. Insoddisfatti del risultato della riunione, i lavoratori rimasti in presidio di fronte al Mise in tarda serata si sono detti decisi a restare ad oltranza, hanno urlato «tornate dentro» ai rappresentanti sindacali, salvo poi decidere di rientrare in Sardegna. Freddezza e delusione per l'esito dell'incontro anche da parte dei sindacati, Cgil e Cisl hanno proposto che la vertenza coinvolga direttamente Palazzo Chigi per affrontare l'intera emergenza industriale sarda.
Intanto in Sardegna ieri è proseguita la protesta, con lo sciopero organizzato nell'impianto di Portovesme, accompagnato da un presidio dei lavoratori delle imprese d'appalto. In serata un gruppo di lavoratori ha bloccato lo scarico del carbone destinato alla centrale Enel di Portovesme (Sulcis-Iglesiente) nel vicino porto industriale.
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