Albo dei giornalisti, la riforma fa discutere

Dalla Rassegna stampa

La Costituzione italiana all'articolo 21 stabilisce che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Ma l'Italia rischia di restare un'anomalia rispetto agli Stati avanzati dove l'accesso ai lavori dell'informazione è libero. I partiti di centrodestra e di centrosinistra hanno infatti accolto le pressioni dell'ordine dei giornalisti e stanno facendo avanzare in Parlamento una riforma rafforzativa degli interessi protezionistici di questo organismo corporativo, che frena il libero accesso alle professioni dell'informazione e non esiste negli altri Paesi occidentali dove tutti i cittadini possono esercitare la libertà di stampa senza anacronistici sbarramenti.

Pino Pisicchio dell'Api, primo firmatario della proposta di legge sottoscritta in modo bipartisan da vari esempi della specie italica del «parlamentare & giornalista», ha detto che la procedura si è svolta «nella logica della concertazione tra potere legislativo e Ordine dei giornalisti». In sostanza questo inciucio tra due parti avrebbe sottovalutato l'interesse dei cittadini e, soprattutto, degli otto milioni che votarono per l'abolizione dell'ordine dei giornalisti (nel referendum dei radicali che non raggiunse il quorum).

La riforma non affronta nemmeno l'esigenza di considerare giornalista solo chi opera per organi d'informazione in modo prevalente. L'ordine accoglie e definisce giornalisti addirittura soggetti in potenziale conflitto d'interessi come politici di mestiere, portaborse, pr, lobbisti e altre tipologie a libro paga di aziende, banche, enti pubblici e privati. Secondo le regole in vigore non sarebbe stato giornalista professionista addirittura lo storico corrispondente da New York e poi direttore del Corriere della Sera Ugo Stille, mentre incredibilmente lo sarebbero notabili del Palazzo come Giulio Andreotti, Massimo D'Alema, Walter Veltroni o Gianfranco Fini (al tempo stesso quindi controllati e controllori del potere).

Naturalmente la riforma di Pisicchio consente di poter continuare a definirsi giornalisti ai politici e alla gran massa dei quasi 100 mila iscritti all'ordine di categoria che non lavorano principalmente per giornali, tv, radio o altri media. Ma il testo protezionistico, approvato in commissione Cultura della Camera, introdurrebbe perfino un odioso freno a danno dei cittadini senza i mezzi economici per conseguire una laurea triennale (un requisito che non esiste nei principali Paesi occidentali per i giornalisti). La riforma aumenterebbe poi di fatto l'importanza delle discusse scuole di giornalismo a pagamento convenzionate con l'ordine, dove esponenti dello stesso ordine possono ottenere (e ottengono) contratti di insegnamento.
 
 

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