Alberto Perino

Dalla Rassegna stampa

In nome della lotta contro la Tav mai un tentennamento o un dubbio. Solo inossidabili certezze che hanno condotto, lui, che guida l’ala valligiana radicale dei No Tav (anche se preferisce essere definito un attivista fra i tanti, «solo con la lingua più lunga») a saldarsi con l’area antagonista capitanata dagli autonomi del centro sociale Askatasuna che oggi è a tutti gli effetti parte del movimento. E che, come le cronache dimostrano, porta con sé annessi e connessi. Incluso il ricorrente appalesarsi in Valle di antagonisti di ogni ordine e grado che con la protesta democratica non hanno nulla a che spartire. Ma neppure con quella che solo ieri il sito notav.info rispondendo al ministro Cancellieri («sabato in Valsusa c’è stata violenza, non manifestazione di dissenso») definiva invece resistenza: «Si chiama resistenza, ministro».
Perché se per i radicali del movimento quella contro la Tav è tale – e, a dispetto dalle decisioni prese ad ogni livello che un sistema democratico contempli, le forze dell’ordine che difendono il cantiere vengono trattate alla stregua di truppe di occupazione – per la varia umanità ( anche non italiana) che periodicamente plana in Valsusa, il no all’alta velocità è spesso solo un pretesto per menare le mani, una palestra di guerriglia. Più che resistenza, è voglia di fare casino. E, come è accaduto sabato, andare oltre il taglio delle recinzioni per usare le bombe carta, ferire, anche Giuseppe Petronzi, il capo della Digos di Torino che in questi mesi ha mostrato nervi saldi e una certa ragionevolezza. Perino si dice spiaciuto per il ferimento di Petronzi, così come per quello «di tutti i No Tav che si sono presi i lacrimogeni in faccia». Ma non risultano prese di distanza. E del resto, lui, bancario in pensione e montanaro doc, è un irriducibile fin da quando militava nel gruppo valsusino di azione nonviolenta, vicino ai Radicali. Poi ha fatto il sindacalista (Cisl bancari) per otto anni. Ora presidia saldamente il movimento No Tav in modi e forme che gli sono valsi la qualifica di uomo dell’anno 2011 da parte di Beppe Grillo e schermaglie su una sua eventuale candidatura per i Cinque Stelle (poi smentita da entrambe le parti).
Senonché, nell’irriducibilità e nel conflitto per il conflitto, il movimento certo non ottiene quel consenso allargato nel paese su cui pure aveva puntato dopo i blocchi e i disordini che quest’inverno hanno prodotto non pochi malumori anche nei valligiani che la Tav non la vogliono, ma che sono stufi di bombe carta. E dire che, fra le dimissioni di Masera e i dubbi della Francia sulla Torino-Lione, di argomenti per guadagnare consenso alla causa ce ne sarebbero.

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