Al Senato prove di dialogo su tutto esclusa la giustizia

Dalla Rassegna stampa

Bersani prende coraggio e fa un passo che gli provocherà attacchi da Di Pietro, nonché accuse di «inciucio»: autorizza Anna Finocchiaro, capogruppo in Senato, a trattare con le destre sulle riforme costituzionali. E a stilare tutti insieme una lista di quelle più urgenti, dopodiché se ne potrebbe iniziare praticamente subito l’esame in commissione. Questo elenco verrebbe scolpito sotto forma di solenne mozione comune, con tanto di firma in calce del Pd, del Pdl, dell’Udc e della Lega. E’ già fissata per il 2 dicembre la seduta del Senato in cui la mozione verrà discussa.
Poi non è detto che ci si arrivi davvero. Magari nei prossimi giorni l’idea farà naufragio. Anche perché il Pd vorrebbe discutere esclusivamente quanto già stava nella famosa «bozza Violante» (riduzione del numero dei parlamentari, fine del bicameralismo, Senato delle autonomie) laddove il capogruppo Pdl Gasparri sta tentando di infilarci non solo la «forma di governo», cioè l’elezione diretta del premier, ma pure il tema-giustizia. Che porta con sé i processi del premier e i suoi tentativi disperati di cancellarli con qualche legge «ad personam». Se la maggioranza insiste (per Cicchitto riforme e giustizia sono «come due binari, se si divaricano il treno deraglia»), finisce che non se ne fa più nulla.
Per evitare equivoci, Bersani sceglie una strada astuta: pone come condizione che Berlusconi si rimangi il «processo breve». Sa già la risposta, «non se ne parla nemmeno». Semmai la discussione in corso da quelle parti è se il processo breve sarà sufficiente a salvare il Cavaliere dai magistrati. Tra i «pasdaran» berlusconiani c’è addirittura chi spinge per qualche ulteriore marchingegno giuridico perché il processo breve non basta (ma Bonaiuti, interpellato, nega che la mente creativa di Ghedini sia all’opera in tal senso).
Dunque niente giustizia nella mozione del 2 dicembre. Il Pd sarà attaccato lo stesso da quanti dicono che «con Berlusconi non si tratta mai e su nulla, per principio». In compenso Bersani mette il cappello sulle riforme possibili. Spezza le catene che lo fanno apparire prigioniero politico di Di Pietro. Lancia un amo allettante ai centristi moderati. Offre una sponda tatticamente utile alle rare «colombe» della maggioranza. E non è un caso che il passo sulle riforme, benedetto dal presidente della Repubblica, applaudito da Schifani, sia stato concordato riservatamente nei giorni scorsi con Gianni Letta. Vale a dire con il protagonista immancabile di tutte le transazioni.
Vuoi che Letta non ne abbia parlato con Berlusconi? Il Cavaliere, scettico, pare gli abbia dato via libera, «proviamoci», dialogare con l’opposizione male non fa. Anche perché il suo vero cruccio rimane la maggioranza. La minaccia di elezioni è rinfoderata tanto che Schifani, il quale si era spinto parecchio avanti sulla linea del Capo, ne prende atto: «La maggioranza è coesa, come dice il premier, per cui si va avanti senza il voto». Eppure sarebbe eccessivo parlare di pace con Fini. Chi va a trovare Berlusconi continua a raccogliere sfoghi furiosi contro i giudici, contro Veronica («Vuole portarmi via quello per cui ho lavorato tutta una vita») e contro il presidente della Camera, fonte di grande amarezza. Al massimo tra i due, precisa chi frequenta il premier, ci si può attendere una tregua armata. Gli scontri sono sospesi, ma potrebbero riprendere da un momento all’altro.

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