Al seggio sfidando le bombe. Obama: Iracheni coraggiosi"

Hanno votato. Nonostante la minaccia delle bombe. Nonostante l'insicurezza, le tensioni interreligiose e l`instabilità di un Paese che, a sette anni dall'invasione anglo-americana, è ancora ben lontano dalla normalizzazione.
Il dato più rilevante sembra essere che, a differenza dalle parlamentari del 2oo5 questa seconda volta dalla guerra del 2003 anche i sunniti sono andati alle urne. Se fosse vero sarebbe un successo. Quel successo che sogna anche l'amministrazione americana. Ieri sera, forse forzando i tempi, Barack Obama si è precipitato a complimentarsi con gli iracheni «per il coraggio dimostrato».
Il presidente Usa non nasconde l'impazienza di ritirare presto le proprie truppe. E loda «il successo» dei quasi 8oo.ooo tra poliziotti e militari iracheni, che si sono impegnati per garantire le operazioni di voto, segnando «una pietra miliare» nella storia del Paese. Ma non nasconde che l'Iraq ha ancora davanti giorni «molto difficili». I risultati sono da venire. A Bagdad gli osservatori internazionali parlano di «due o tre giorni» per le prime indicazioni credibili. Quelle ufficiali potrebbero prendere settimane. E mesi la formazione del prossimo governo.
Un dato che circolava in serata tra le tv locali era che il 6o per cento dei milioni di iracheni aventi diritto al voto sarebbe andato alle urne. Circa l'8 per cento in più rispetto al 2005. Altre indicazioni erano che la formazione «Stato di diritto» del premier sciita Nouri Al Maliki sarebbe andata molto bene nel Sud, comprese le città sante sciite di Karbala e Najaf, che si credeva fossero dominate dalle liste religiose più conservatrici. Quelle sunnite di Falluja e Ramadi, oltre a quelle della provincia di Diyala sino al polo petrolifero di Mossul, si sarebbero orientate in massa per il partito "Iragia" dell'ex premier Iyad Allawi. Ma questi dati sono ancora inaffidabili. «Per il momento non abbiamo risultati credibili. Nulla è certo», osservano i responsabili della Commissione elettorale irachena. Allawi ha comunque già voluto mettere le mani avanti, ipotizzando l'eventualità di brogli e minacciando l`ombra di un'inchiesta.
La giornata era cominciata male. Già prima dell'apertura dei seggi, alle sette di mattina, i colpi di mortaio hanno terrorizzato la capitale: una cinquantina in meno di due ore. Uno di questi ha centrato in pieno una palazzina, causando la morte di una ventina di persone. Bombe sono esplose anche a Falluja, Tikrit, Mossul. Del resto lo avevano minacciato i gruppi estremisti vicini ad Al Qaeda meno di tre settimane fa: «Trasformeremo la giornata elettorale in un inferno». Ma l'inferno non c`è stato. Nonostante i 38 morti e la settantina di feriti per gli attentati in tutto il Paese, verso le 11 di mattina la situazione si è stabilizzata. E la gente ha iniziato a votare più numerosa. La mia scheda contro il terrorismo, per la stabilizzazione», sosteneva fiero Feras Samarrai, 34 anni, mentre con la moglie, il figlio di due anni, e altri quattro parenti scendeva a piedi il lungo Tigri per raggiungere il seggio. «Ho grande speranza nella ventata laica che vorrebbe imprimere Allawi. Magari finalmente l'Iraq vedrà la fine delle guerre settarie interne», aggiungeva Hasher Rashid, un pensionato 62enne. Altri erano meno ottimisti. «Ci vorranno decenni per cambiare la situazione. i manca la cultura della democrazia. L'economia è in
ginocchio. Iran e Stati Uniti si fanno la guerra a nostre spese», diceva un capitano della polizia ai seggi, Samir Shellah (55 anni), senza nascondere la sua nostalgia per Saddam Hussein. Nelle zone curde del Nord non sono stati registrati incidenti. E la popolazione ha votato in massa.
© 2010 Corriere della Sera. Tutti i diritti riservati
SU
- Login to post comments